I risultati positivi alle sostanze stupefacenti nel prelievo delle urine non sono sufficienti da soli a provare il reato di cui all'art. 187 C.d.S. Lo ha affermato la Corte d'Appello di Venezia, con sentenza n. 90 del 28 gennaio 2014, assolvendo l'imputato del reato di guida in stato di alterazione psicofisica, di cui all'art. 187, commi 1 e 1 quater del d.lgs. n. 285/992 (C.d.S.) in conseguenza dell'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope (nella specie, oppiacei) rilevati a seguito di esame delle urine presso la struttura sanitaria, previo assenso dello stesso imputato.

In particolare, rilevava la Corte, la positività all'esame sulle urine è in grado di attestare solamente una pregressa assunzione di stupefacenti, ma non di fornire dati precisi circa l'epoca dell'assunzione, risultando, infatti, acclarato che le tracce di tali sostanze rimangono nelle urine anche a diversi giorni di distanza. 

Richiamando la giurisprudenza pacifica sul tema (Cass. n. 6995/2013), la Corte precisava che "la mera positività all'esame delle urine non poteva essere prova sufficiente del fatto che la circolazione alla guida del veicolo sia avvenuta in stato di alterazione per assunzione di stupefacenti" ed aggiungeva che "tale positività è un elemento che va valutato assieme ai dati sintomatici eventualmente riscontrati nel contesto del fatto". Per cui, considerato che la normativa richiede che gli esami strumentali, pur costituendo elemento significativo, per costituire prova idonea ad integrare il reato, debbano essere accompagnati da visita medica (cosa non avvenuta nella vicenda de qua), la corte distrettuale ha assolto l'appellante "perché il fatto non sussiste".


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