Con la sentenza n. 11363 del 22 maggio 2014, la Cassazione è tornata ad occuparsi della ripartizione dell'onere della prova in tema di responsabilità del medico e della struttura sanitaria, confermando l'indirizzo affermato dalle Sezioni Unite (sentenza n. 577/2008) e ribadendo che l'attore danneggiato deve limitarsi a provare il contratto (o contatto sociale) e l'aggravamento della patologia ovvero l'insorgenza di un'affezione allegando l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il pregiudizio lamentato. Mentre è compito del debitore (e, dunque, del medico e della struttura) dimostrare che l'inadempimento non vi sia stato o che, pur sussistendo, lo stesso non sia stato eziologicamente rilevante. 

Nella vicenda portata alla sua attenzione, riguardante l'accertamento della responsabilità professionale per la ritardata diagnosi di un tumore mammario (con la condanna al risarcimento di tutti i danni, biologici, morali e patrimoniali) che causava il decesso di parte attrice e la riassunzione del processo da parte degli eredi, la Suprema Corte riteneva sussistente il concorso di colpe tra la struttura, che si era avvalsa di un medico imperito, e lo stesso professionista che aveva omesso di approfondire le analisi e di fornire una diagnosi corretta. 

Inoltre, riportandosi integralmente alla costante giurisprudenza e in particolare ai principi dettati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 577/2008, "chiaro punto di riferimento in relazione al riparto dell'onere della prova e delle responsabilità in caso di colpa omissiva, cui si aggiunge l'inadempimento della prestazione di garanzia, direttamente salvifica o curativa per il paziente", la S.C. giudicava contraddittoria e giuridicamente errata la motivazione della corte di merito, cassando con rinvio ed espresso vincolo per il giudice di attenersi ai "dicta delle sezioni unite". 

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