La sentenza collegiale del giudice civile, priva di una delle sottoscrizioni (del presidente del collegio o del relatore), è affetta da nullità sanabile ai sensi dell'art. 161, prima comma, c.p.c., perché trattasi di elemento insufficiente e non mancante. 

È il principio enunciato dalle Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 11021 del 20 maggio 2014, a composizione di contrasto di una vicenda processuale che ha avuto origine da un giudizio di appello, definito con sentenza

(n. 322/2006, di riforma della statuizione di primo grado che aveva rigettato la domanda di usucapione di parte attrice), mancante della sottoscrizione del presidente. Lo stesso, con ordinanza, fissava nuova udienza collegiale, rimettendo la causa in decisione, per non essersi completato l'iter decisorio del procedimento, emettendo, successivamente, nuova deliberazione (sentenza n. 862/2006), di contenuto identico alla precedente. I soccombenti proponevano ricorsi per cassazione (n. 25447/2006 e n. 2696/2008) sostenendo che la precedente statuizione, ancorché affetta da nullità assoluta, aveva comportato l'esaurimento della potestas judicandi, in capo allo stesso organo giudicante, in relazione alla specifica controversia. La seconda sezione civile della Cassazione, investita dei ricorsi, trasmetteva gli atti al presidente per l'assegnazione alle Sezioni Unite. 

Chiamate a dirimere il contrasto delle questioni giurisprudenziali esistenti, con riferimento alla natura del vizio della sentenza collegiale priva della sottoscrizione del presidente, nonché alla disciplina processuale applicabile e al regime di impugnabilità, le Sezioni Unite, dopo aver esaminato le molteplici posizioni assunte dalla giurisprudenza, oscillanti tra la nullità assoluta e insanabile, per mancanza di un elemento essenziale, e il vizio emendabile con la procedura di correzione degli errori materiali, hanno osservato preliminarmente che le stesse sono riferite alle sentenze totalmente prive di sottoscrizione. 

Quando, invece, come nel caso di specie, trattasi di omissione parziale (mancando solo una delle due firme), la soluzione della quaestio juris, secondo il Collegio va trovata nella distinzione tra "mancanza" e "insufficienza", rilevando la prima categoria, appunto, come "assenza totale dell'elemento", la seconda, invece, come elemento esistente, seppur viziato. Sull'assunto che tali criteri ermeneutici trovano forza anche nei principi di razionalità e ragionevole durata del processo, secondo i quali rispondere a "un banale errore di dimenticanza con una reazione così spropositata come la nullità assoluta" avrebbe un effetto devastante, costituendo anche "una ferita aperta allo stesso principio del giusto processo", in ragione di una proporzione logica tra "azione e reazione", le Sezioni Unite hanno, quindi, optato per il "meccanismo della nullità sanabile di cui al primo comma dell'art. 161 c.p.c.", dichiarando inammissibili i ricorsi. 

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