di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione civile, sezione sesta, ordinanza n. 9660 del 6 Maggio 2014. 

Ancora una sentenza della corte di cassazione che si occupa dell'assegno di mantenimento

Anche questa volta la corte ricorda che lo scopo della corresponsione dell'assegno di mantenimento da parte del coniuge (o dell'ex coniuge) economicamente "forte" è quella di consentire alla parte più debole di mantenere il medesimo tenore di vita goduto durante il matrimonio. un

Secondo la Suprema corte non rileva tanto il cambiamento della situazione lavorativa del soggetto svantaggiato quanto la sua capacità di ottenere un reddito adeguato e tale da consentirgli di mantenere un certo tenore di vita. 

Nel caso di specie il giudice d'appello aveva fissato l'importo dovuto dal marito, a titolo di assegno di mantenimento, nei confronti della ex moglie; avverso tale sentenza ricorreva l'interessato, sostenendo che l'importo del mantenimento sarebbe stato sproporzionato e non giustificato perché l'ex moglie avrebbe nel frattempo trovato un impiego a tempo pieno, mutando la propria condizione di lavoratrice da tempo parziale a tempo pieno e mutando così in meglio la propria capacità reddituale

Il marito si era rivolto alla Cassazione lamentando che era stata disattesa la sua domanda di riduzione dell'importo dell'assegno di mantenimento. 

La Corte, premettendo che il procedimento di separazione e quello di divorzio sono distinti e autonomi, fa notare che nel caso di specie il giudice del merito, nell'adottare la propria decisione, ha fatto espresso riferimento al palese squilibrio economico esistente tra le parti, circostanza di fatto nemmeno negata dall'interessato. 

Risultando nel merito che sebbene fosse intervenuto un miglioramento reddituale a favore della parte debole, tale mutamento non sarebbe stato sufficiente, di per sé, a consentire alla parte svantaggiata di mantenere lo stesso tenore di vita adottato in pendenza di matrimonio. La Cassazione, ragionando secondo il principio sopra enunciato, non ha ravvisato alcuna illogicità nella decisione del giudice d'appello; ha quindi confermato la sentenza impugnata.



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