di Stefano Bovino - boy.style@rgilio.it

I recenti tagli di spesa al settore della difesa previsti dal governo sul piano della spending review hanno scatenato le reazioni dei vertici delle forze dell'ordine, che hanno chiesto la fissazione di paletti ai progetti di risparmio escludendo la possibilità di agire sul versante degli organici, pena l'abbassamento degli standard operativi e del livello di sicurezza garantito ai cittadini.
Tuttavia, se da un lato la riduzione degli investimenti e i tentativi di razionalizzazione della spesa, effettuate negli ultimi anni, complice la crisi, hanno inciso sul comparto della sicurezza pubblica, snellendolo e minandone le risorse, dall'altro, al fine di garantire una delle funzioni fondamentali dello Stato, occorrono anzitutto politiche tese a razionalizzare i servizi, a riorganizzare i processi e a rimodellare le strutture.
In sostanza, da più parti si auspica la realizzazione di un nuovo "modello" di gestione della sicurezza che veda l'integrazione tra tutti i soggetti istituzionali coinvolti e sappia attuare opportuni piani di prevenzione e assistenza, come già avviene in molti Paesi europei.
Il mero intervento, in termini di aumento di organico delle forze dell'ordine, infatti, non può rappresentare, da solo, un deterrente ai fenomeni delinquenziali e di devianza o alla lotta alla criminalità organizzata.
La capacità dello Stato di garantire la sicurezza ed aumentarne il grado di percezione nelle comunità, si gioca (prima che sulle azioni tese all'eliminazione degli stati di turbativa già in atto) anzitutto sulla tutela delle condizioni della pace sociale e sulla prevenzione dei fattori che possono potenzialmente minacciarla, attraverso necessarie politiche di inclusione e di accoglienza, sensibilizzazione sulla condivisione delle regole e diffusione del concetto di legalità.
La sicurezza, infatti, è un bene pubblico da tutelare che incrocia nella sua traiettoria altrettanti beni fondamentali, quali la legalità, i diritti e le libertà individuali e collettive. Un bisogno, dunque, sociale che costituisce una priorità dei pubblici poteri che non può essere riduttivamente ricondotto al solo significato di ordine pubblico, basato sulle attribuzioni negative di eliminazione delle minacce o degli stati di turbativa per tutelare l'incolumità delle persone e dei loro beni, ma esteso anche a quelle positive tese alla costruzione del consenso, alla cooperazione, al monitoraggio e alla trasparenza dell'operato istituzionale al fine di migliorare la qualità della vita e, per questa via, la legalità e la pacificazione sociale.
Ciò comporta, dunque, la necessità dell'adozione di sistemi di governance multilevel (dal livello locale a quello nazionale ed internazionale) e multiagency, attraverso la continua interazione tra le istituzioni centrali e quelle locali, le forze dell'ordine e i servizi sociali, nonché le associazioni
e le rappresentanze dei cittadini. Solo con la paziente tessitura di tali equilibrate sinergie, la continua attenzione alle emergenti tensioni sociali, l'attuazione di politiche di prevenzione strutturale nei confronti dei comportamenti illeciti e di pratiche di inclusione dei soggetti nei contesti di deprivazione e rischio, oltre alle iniziative e alle campagne tese ad aumentare la percezione della sicurezza da parte dei cittadini, a migliorare la qualità della vita e a diffondere la legalità in senso ampio, si può garantire la pacificazione sociale sia in ambito nazionale che internazionale.

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