Le Sezioni Unite della  Corte di Cassazione con sentenza n. 9250/2014 hanno rafforzato nel nostro ordinamento un principio: il magistrato deve osservare il termine per il deposito della sentenza e non si possono accampare scuse quando il ritardo supera del triplo i termini di legge. 

Esistono termini ben precisi non solo per gli avvocati (che devono depositare i propri scritti difensivi), ma anche per i magistrati che debbono depositare le sentenze a conclusione dei giudizi. Nella pratica però i termini per i magistrati sono spesso disattesi, trattandosi di termini "ordinatori", ossia termini la cui inosservanza non produce decadenze.

Ma il fatto che un termine non produca decadenze non vuol dire che non lo si debba rispettare. La Corte di Cassazione quindi avverte: il magistrato che deposita con ritardo una sentenze può essere sanzionato sotto il profilo disciplinare. La sanzione sarà giustificata laddove si verifichi un notevole ritardo nel deposito della sentenza (superiore al triplo di ciò che prevede la legge).

Nel caso di specie e' da considerarsi irrilevante anche la circostanza sollevata dalla difesa del magistrato che faceva riferimento alla grave infermità della madre che necessitava di continue cure. 

Va ricordato che ai sensi dell'art. 275 del Codice di Procedura Civile la sentenza deve essere depositata in cancelleria entro sessanta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica di cui all'articolo 190 dello stesso codice (in altri termini da quando gli avvocati hanno concluso le loro difese). Questo termine è ridotto a 30 giorni per i giudizi davanti al giudice monocratico e a quindici giorni per quelli davanti al giudice di pace.

Nella parte motiva della sentenza la Cassazione ricorda che "non è consentito al giudice civile, quand'anche particolarmente oberato da carichi di lavoro, effettuare la scelta di assumere in decisione un numero di cause eccedente la possibilità far fronte ai relativi depositi entro termini ragionevoli, anziché graduarne opportunamente le discussione".

Vai al testo della sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, n. 9250 / 2014

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