di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, sentenza n. 28320 del 18 Dicembre 2013. Un dipendente del Ministero della Giustizia, in servizio da diversi anni, ha presentato domanda di trasferimento dal proprio ufficio, richiesta fondata sulla necessità di avvicinarsi alla madre disabile, bisognosa di cure e assistenza continue. A seguito del diniego, il lavoratore si è rivolto al giudice competente, ottenendo ragione in appello.

Il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso in Cassazione affidandosi ad un unico motivo di contestazione.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermato quale sia la ratio dell'art. 33, comma 5, della legge 104/1992 (legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) normativa di riferimento per la risoluzione del caso in oggetto: quella di favorire appunto la migliore assistenza al familiare disabile (legato al lavoratore da un rapporto di affinità o di parentela), interesse - quello appunto di garantire un'assistenza effettiva e continuativa al disabile - che è sicuramente superiore a quello, opposto, del datore di lavoro, di mantenere la risorsa entro una determinata sede aziendale. Proprio per tale motivo, il lavoratore può effettuare la scelta della sede di lavoro, quanto più possibile alla propria residenza o domicilio

, non solo nel momento genetico del contratto - cioè solo al momento dell'assunzione - ma anche in un momento successivo, presentando appunto domanda di trasferimento. La necessità effettiva, alla base della legittima richiesta di trasferimento presentata al datore di lavoro, deve essere riscontrata dal giudice il quale effettuerà indagini caso per caso.


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