di Marco Massavelli - Corte di Cassazione Civile, sezione II, sentenza n. 25945 del 19 novembre 2013. L'applicazione del rito camerale relativo alle controversie tra assistito e difensore nella liquidazione delle spettanze deve ritenersi configurabile anche nel caso in cui il primo proponga eccezione di prescrizione del credito vantato dal professionista, e per il cui recupero lo stesso procede. E' il principio di diritto stabilito dalla Corte di Cassazione Civile, con la sentenza 19 novembre 2013, n. 25945.

Il ricorso alla speciale procedura di liquidazione delle spese, diritti e onorari spettanti agli avvocati, prevista dagli articoli 29 e 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794, non è ammesso nei soli casi in cui vi sia contestazione sul rapporto di clientela (cioè sullesistenza stessa del presupposto contrattuale del diritto al compenso), sulla natura giudiziale dei compensi pretesi, sull'avvenuta transazione della lite ovvero quando il cliente, convenuto per la liquidazione delle spettanze, opponga una domanda riconvenzionale

, introducendo un nuovo petitum ed una pretesa che fa capo non più all'avvocato ma al cliente, non consente di utilizzare la procedura sommaria che deroga al principio del doppio grado di giurisdizione ed il procedimento in tal caso, dovrà svolgersi secondo il rito ordinario (si veda Cassaz. 2229/1995; 3557/1999; 12035/2000). In definitiva, si tratta di situazioni in cui la domanda originale viene modificata. Non vale ad escludere la possibilità del ricorso al rito camerale la circostanza in cui il cliente neghi di dovere un compenso al professionista - ad esempio, perchè avrebbe già pagato - o, come nel caso di specie, nel caso in cui il cliente affermi che il credito si sia prescritto. La Cassazione statuisce che anche in quest'ultima occasione deve mantenersi il rito camerale, salvo che l'interessato - il cliente - formuli idonea domanda riconvenzionale a seguito delle pretese avanzate dal professionista.


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