Dott. Aldo Di Virgilio - La recente sentenza in oggetto, resa dall'Alta Corte con riferimento alla Regione Abruzzo, offre degli spunti di riflessione interessanti sia in tema di fissazione dei tetti di spesa quando è operativo un piano di rientro dai debiti di ordine sanitario, sia nell'ambito più generale dell'accreditamento delle strutture quali case di cura ed assimilate.

Procediamo, dunque, ad una breve ricostruzione degli atti prodromici alla decisione de quo. La Regione Abruzzo, con delibera

G.R.A. n° 224 del 13.03.2007, aveva approvato l'accordo raggiunto il 6.03.2007 con il Ministero della Salute ed il Ministro per l'Economia e le Finanze, per l'attuazione del piano di rientro dei debiti del settore sanità, e l'individuazione degli interventi per il perseguimento dell'equilibrio economico. In tale delibera veniva stabilito che, per il 2008, la spesa non dovesse superare € 101.000.000,00 per i servizi di spedalità privata in favore di pazienti residenti nella Regione Abruzzo. In seguito, con delibera G.R.A. n° 45 del 28.01.2008, la Regione aveva approvato il tetto di spesa per l'anno 2008, con l'attribuzione provvisoria delle risorse per ciascun erogatore privato accreditato in materia di prestazioni ospedaliere. Tale ultima delibera
, impugnata da alcune case di cura private, induceva il TAR Abruzzo, sede L'Aquila, a trattare subito il merito del ricorso nella pubblica udienza del 9.07.2008, senza peraltro concedere la misura cautelare della sospensione dell'efficacia della delibera n° 45 del 2008, poi effettivamente annullata con diverse sentenze depositate il 18.10.2008. Intanto, a causa della vicenda di rilevanza penale che portò alle dimissioni, nel luglio del 2008, del Presidente della Regione, il Governo nazionale, in data 11.09.2008, nominava un Commissario ad acta per la realizzazione del piano di rientro
dai disavanzi del settore sanità della Regione Abruzzo. Il Commissario ad acta, appena insediato, cercava di trovare un accordo con le associazioni di categoria e i singoli operatori non associati per la determinazione dei budget 2008 ma, non avendo trovato l'accordo, emanò la delibera n° 3 del 5.11.2008, con la quale stabilì in € 100.694.602,00 la somma da destinarsi alla spesa per l'ospedalità privata dei residenti nella Regione Abruzzo, e in € 63.375.849,00 quella da destinarsi alla spesa per i residenti in altre regioni, attribuendola ai singoli operatori tenuto conto del punto 5.4 della L.R. n° 6/2007 e dei criteri esplicitati dall'Agenzia Sanitaria Regionale con nota del 3.11.2008. Su tale delibera, anch'essa impugnata innanzi al TAR, questo si pronunciava nel dicembre 2008, nel senso di non sospendere in via cautelativa la deliberazione nella parte riguardante la determinazione dei tetti di spesa, bensì solo in quella diversa parte, lo stesso impugnata, riguardante la revoca dell'accreditamento provvisorio per effetto della mancata sottoscrizione dei contratti da parte degli erogatori delle prestazioni ospedaliere. A tali pronunce interlocutorie il TAR faceva seguire un altro gruppo di sentenze (fra le quali quella oggetto dell'appello in esame), depositate il 4.06.2009, con le quali venne annullata anche la delibera commissariale n° 3/2008. Con riguardo all'impugnazione, innalzi al TAR Abruzzo della Deliberazione Commissario Ad acta Regionale n° 3 del 5.11.2008, il TAR, attraverso propria sentenza n° 1149/2008, ritenne fondato il ricorso, adducendo la tardività della predetta fissazione, tra l'altro operata, a suo dire, senza alcuna previa e programmata limitazione di spesa, rispetto all'ammontare delle prestazioni precedentemente erogate, col che ledendosi il legittimo affidamento ingeneratosi negli operatori, anche e soprattutto con riferimento alle proiezioni economiche spinte al termine dell'esercizio. Inoltre il TAR ne accolse pure il secondo motivo di censura, ovvero dichiarando l'illegittimità di quella parte della Delib. C.a.A. n° 3/2008 secondo cui alla mancata firma dei contratto da parte della Casa di Cura ne sarebbe scaturita la sospensione dell'accreditamento, perché la sospensione dell'accreditamento non potrebbe che discendere da una accurata ponderazione soprattutto delle cause della mancata sottoscrizione e della loro imputabilità soggettiva. Appellatasi la Regione Abruzzo, la Casa di Cura X vi si opponeva, tra l'altro, eccependo l'inammissibilità dello stesso appello, in quanto proposto dalla Regione e non dal Commissario ad acta per la realizzazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanità che emanò l'atto annullato. Innanzitutto il Consiglio di Stato si è pronunciato sull'ultimo elemento, cioè sull'eccezione di legittimazione all'appello, ed ha affermato che la Regione Abruzzo deve ritenersi sicuramente espressione di un interesse giuridicamente qualificato nei confronti della sentenza emessa dal TAR per l'Abruzzo, poiché la Deliberazione del Commissario n° 3/2008 si configurava come un atto che, da un lato, produceva effetti sul bilancio della stessa Regione e, dall'altro, riguardava i rapporti con il Governo centrale, per il rispetto degli accordi presi con il piano di rientro dai disavanzi del settore sanità: affermazione, quest'ultima, poggiata sul principio che la legittimazione ad appellare va riconosciuta anche ai soggetti i quali, pur non essendo contraddittori necessari nel giudizio di primo grado e non avendo assunto la qualità di parte in quel giudizio, abbiano comunque un autonomo interesse al mantenimento del provvedimento impugnato in quella sede, perché produttivo di effetti nella loro sfera giuridica (fra le più recenti, Consiglio Stato, sez. VI, 29 settembre 2010, n° 7197). Giunta all'esame del merito, la Corte ha ricordato come la fissazione di tetti alla spesa sanitaria a livello regionale debba ritenersi, in via di principio, legittima, date le insopprimibili esigenze di equilibrio finanziario e di razionalizzazione della spesa pubblica, alla luce anche del fatto che il diritto alla salute, sancito dall'art. 32 della Costituzione, non può essere tutelato incondizionatamente (fra le più recenti, Consiglio di Stato, sez. V, 28.02.2011, n° 1259; 5.05.2010, n° 2577). La determinazione da parte dell'Amministrazione dei tetti di spesa e la suddivisione delle risorse costituisce pertanto esercizio del potere di programmazione sanitaria, da esercitarsi con tempestività; a tal proposito la giurisprudenza, considerata anche la complessità delle operazioni necessarie, ha ritenuto che il carattere preventivo della programmazione sanitaria non può essere inteso in senso strettamente cronologico, dunque non può ritenersi illegittimo un atto di programmazione che contiene l'indicazione dei tetti di spesa solo perché intervenuto in corso d'anno. L'individuazione dei tetti di spesa nei confronti degli operatori sanitari richiede infatti tempi tecnici non comprimibili, con la conseguenza che deve ritenersi fisiologico (e quindi legittimo) che la relativa determinazione intervenga con un certo ritardo rispetto all'anno di riferimento (Consiglio Stato, sez. I, 5.02.2010, n° 2923). Il TAR per l'Abruzzo, pur condividendo i principi appena elencati, ha ritenuto di dover comunque considerare illegittima la delibera commissariale in oggetto, essendo datata 5.11.2008 (e quindi quasi a conclusione dell'anno), e mancando un'adeguata ponderazione degli interessi e delle aspettative delle strutture private interessate. In merito alla tardività, il TAR ha affermato che tale intervento, in quanto autoritativo, avrebbe dovuto spingere il Commissario ad una puntuale valutazione delle situazioni giuridiche soggettive e delle aspettative maturate dai singoli operatori, non potendosi prescindere da un'approfondita considerazione del tempo trascorso con una compromissione di interessi unilaterale. Cioè, si sarebbe dovuto considerare in primis la manifesta inferiorità delle somme riconosciute in sede di budget rispetto alle somme effettivamente erogate alla data dell'adozione. Alla luce di tale ricostruzione, il Consiglio di Stato ha ritenuto non potersi considerare illegittimo il ritardo del Commissario ad acta nell'adozione del provvedimento che fissò i tetti di spesa per il 2008. Tale fissazione, avvenuta il 5.11.2008, distava solo pochi giorni dall'annullamento da parte del TAR con le sentenze depositate il 18.10.2008, della precedente determina n° 45 del 28.01.2008, la quale aveva già individuato i tetti di spesa; e, francamente, non si poteva chiedere di più, visti gli imprescindibili tempi tecnici richiesti dall'art. 8 quinquies D.lgs. 30.12.1992, n° 502 ed il conseguente esito negativo collegato alla contrattazione, che costrinse il Commissario ad adottare comunque il necessario provvedimento di determinazione dei tetti di spesa. Questi elementi e gli altri fatti che si sono ricordati giustificano, per la peculiarità della fattispecie, l'emanazione, solo il 5.11.2008, della delibera commissariale contenente i tetti di spesa per l'anno 2008. Per quanto attiene poi alla presunta lesione delle aspettative dei soggetti privati accreditati, altrettanto ha ritenuto il Consiglio non doversi configurare un'illegittimità dell'azione commissariale dato che i primi conoscevano sin dal 2007, a seguito dell'emanazione della delibera G.R.A. n° 224/2007, e per aver successivamente partecipato alle trattative condotte sin dal dicembre 2007 (come da verbale deposto agli atti) l'importo complessivo del budget assegnato al settore, a seguito dell'accordo raggiunto dalla Regione con il Ministero della Salute e con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, e conoscevano quindi in che misura le risorse disponibili sarebbero diminuite rispetto agli anni precedenti. Inoltre, avrebbero dovuto in ogni caso rispettare, in pratica per quasi tutto l'anno 2008, i tetti di cui alla delibera n° 45/2008 (annullata, come notato, solo il 19 ottobre 2008) e poi rideterminati nella delibera del 5.11.2008 (annullata solo nel 2009). Tali delibere, benché impugnate, erano state infatti a lungo pienamente efficaci, non essendo state oggetto di sospensione da parte del TAR. Non considera dunque condivisibile il Consiglio la tesi, sostenuta dalle case di cura già innanzi al TAR, secondo cui l'impugnativa proposta le avrebbe legittimate a realizzare un fatturato proporzionale alla propria capacità erogativa e alle cifre in passato totalizzate. E gli annullamenti operati delle due delibere, della Giunta Reg. n° 45/2008 e commissariale n° 3/2008 attraverso le sentenze TAR rispettivamente di ottobre 2008 e giugno 2009, il Consiglio sostiene non spostino i termini della questione, in quanto la cassazione degli atti annullati non ha potuto invece eliminare i fatti medio tempore verificatisi nella realtà, i quali ovviamente non poterono non influire sulle aspettative degli interessati, in sede di rinnovo dell'esercizio del potere (e in questa sede di giudizio). In sostanza, tutte le circostanze indicate (ed anche il contenuto degli atti impugnati) dovevano orientare le condotte delle case di cura private, che non potevano ritenersi legittimate a ignorare i tetti di spesa loro imposti, pur trattandosi di tetti disposti con atti sub judice. Del resto, anche la giurisprudenza ammette pacificamente che c'è un limite alla retroattività degli effetti di un annullamento di un atto, non solo in rapporto all'intangibilità dei diritti soggettivi di terzi in buona fede ma anche per l'esistenza di circostanze non più reversibili, secondo il principio sintetizzato nella locuzione "factum infectum fieri nequit" (fra le più recenti, Consiglio di Stato, sez. VI, 17.01.2011, n° 244). In un sistema nel quale è fisiologica, prosegue l'Alta Corte, la sopravvenienza dell'atto determinativo della spesa in epoca successiva all'inizio dell'erogazione del servizio (Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n° 8 del 2006), è naturale che gli interessati, prima dell'approvazione di tale atto, debbano necessariamente programmare la loro attività solo sugli elementi già conoscibili. E nella fattispecie le circostanze conoscibili e conosciute indicavano che sarebbero stati apportati al settore tagli consistenti. Non può quindi ritenersi che le strutture private in questione avessero maturato aspettative alla conservazione delle risorse in precedenza disponibili, o anche ad una decurtazione sostanzialmente diversa da quella poi operata. Tra l'altro, se avesse agito il maniera diversa, il Commissario Ad Acta avrebbe potuto favorire quelle strutture che non si erano adeguate alle determinazioni con le quali risultava già stabilita una decurtazione dei tetti di spesa. Non irrilevante viene poi considerata l'evenienza che la deliberazione impugnata si fonda, nondimeno, sulla riduzione dei posti letto all'apoca stabilita, per le strutture sanitarie accreditate, con il piano sanitario 2007/2009, approvato con la legge regionale n° 6 del 5.04.2007. Rammenta allora il Consiglio che la Corte Costituzionale, con la recente sentenza n° 289 dell'8.10.2010, ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR per l'Abruzzo (ordinanze del 30 ottobre 2008), affermando che la previsione della riduzione dei posti letto non contraddice l'art. 41 della Costituzione, poiché non pone limiti alla facoltà degli imprenditori privati di realizzare strutture sanitarie, ma si limita ad arginare, in attuazione del principio di autorganizzazione della P.A., quale sia il numero di posti letto accreditabili, cioè, di quelli potenzialmente a carico del servizio sanitario pubblico. Il Consiglio di Stato, dissentendo dalla pronuncia del TAR, fornisce un altro interessante risvolto relativamente al punto 8) della deliberazione del Commissario ad acta n° 3 del 2008, per il quale dalla mancata sottoscrizione del contratto da parte delle case di cura sarebbe conseguita la sospensione dell'accreditamento. In particolare, il TAR ha sostenuto l'illegittimità di tale disposizione poiché l'accreditamento potrebbe essere sospeso solo all'esito di un procedimento di verifica "che involga, evidentemente e soprattutto, anche le cause della mancata sottoscrizione e la loro imputabilità ‘soggettiva', oltre che la considerazione complessiva del comportamento dell'operatore e la valutazione di proporzionalità della sanzione medesima, neppure risultando indifferente, come nel caso che ne occupa, la eventuale contestazione della correttezza delle determinazioni a monte". In particolare, sostiene il massimo collegio, il Commissario ad acta si limitò semplicemente a riportare il contenuto letterale dell'art. 8-quinquies, comma 2-quinquies del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n° 502 (aggiunto dal comma 1-quinquies dell'art. 79, del D.L. 25 giugno 2008, n° 112, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione), secondo cui "in caso di mancata stipula degli accordi di cui al presente articolo, l'accreditamento istituzionale di cui all'articolo 8-quater delle strutture e dei professionisti eroganti prestazioni per conto del Servizio sanitario nazionale interessati è sospeso". Fermo restando dunque che innanzi ad una disposizione legislativa nulla è lecito eccepire con gli strumenti ordinari, casomai andavano impugnate da parte degli interessati gli effetti materiali che da tale disposizione sarebbero potuti scaturire, ma che in pratica non si sono avverati pur in assenza della stipula degli accordi in questione. Nonostante l'accoglimento integrale delle tesi sposate dalla Regione Abruzzo, la Corte tuttavia termina la propria esposizione con un'affermazione "conciliante", laddove auspica che l'amministrazione, anche al fine di chiudere le pendenze connesse alla vicenda esaminata, eventualmente proceda ad una verifica della effettiva utilità pubblica delle prestazioni extrabudget in concreto rese dalle case di cura private ricorrenti, per addivenire, nel caso in cui tale utilità fosse accertata, ad una sorta di ristoro in via transattiva; come, del resto, risulterebbe anche nella contestata delibera del Commissario ad acta, dove si menziona la possibilità di accordi transattivi e di una transazione fra le parti. (Tratto dalla rivista bimestrale "Gazzettino Abruzzese", anno XXI - Luglio/Agosto 2011 - numero 4)


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