di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione terza, sentenza n. 25409 del 12 Novembre 2013. In tema di liquidazione del danno non patrimoniale l'articolo di riferimento è il 2059 codice civile, il quale enuncia il principio della tassatività nel riconoscimento e nella liquidazione di questa particolare categoria di lesioni. L'istituto del danno non patrimoniale comprende diverse voci, tra cui, ad esempio, il danno morale, il danno biologico e il danno esistenziale. Il giudice, nel procedere alla sua liquidazione, non deve tuttavia incorrere in una duplicazione del risarcimento, tenendo presente che ciascuna voce rappresenta pur sempre una parte del complessivo danno non patrimoniale.

Nel caso di specie i ricorrenti lamentano l'errata quantificazione del danno non patrimoniale espressamente nella misura del danno esistenziale, a loro dire liquidato in maniera irragionevole a fronte del corrispondente danno esistenziale. La Suprema Corte ricorda come "il danno esistenziale non costituisce un'autonoma voce di danno risarcibile, ma costituisce un aspetto della più ampia categoria del danno non patrimoniale.

Di tale danno quindi va tenuto conto, nel determinare la somma complessivamente spettante a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali, a cui va apportato un congruo aumento, in misura da determinare con riguardo alle peculiarità del caso concreto". Nel caso prospettato, la Corte d'appello ha congruamente motivato la sua scelta di liquidare il danno esistenziale nella misura di un settimo rispetto a quella dovuta per il danno morale, tenendo conto di diverse circostanze del caso (come l'età dei danneggiati e la composizione del nucleo familiare); trattandosi inoltre di valutazione effettuata in via equitativa, come tale non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità.


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