Il convivente more uxorio non può estromettere il partner dall'abitazione senza un congruo preavviso .

"E qui comando io.....e questa e' casa mia...! Fu questo un famoso brano che Gigliola Cinquetti presento' con successo a Canzonissima nel lontano 1971. Una frase che ben rappresenta la prepotenza che spesso si manifesta all'interno dei conflitti di coppia quando uno dei due partner invita l'altro ad allontanarsi dall'abitazione. 

Episodi del genere, interessano sia le coppie sposate che quelle di fatto; e negli ultimi anni maggiori tutele sono state riconosciute alle convivenze more uxorio.

In merito a ciò la Cassazione II Sezione civile  con la sentenza n. 7214/2013 ha stabilito che : "anche se è finito l'amore, il partner non può essere buttato fuori casa dall'oggi al domani anche se la casa è di proprietà dell'altro.

La Suprema Corte ha seguito questo orientamento rifacendosi a precedenti, che : "dal momento che "la famiglia di fatto è compresa tra le formazioni sociali che l'art. 2 della Costituzione

considera la sede di svolgimento della personalità individuale, il convivente gode della casa familiare, di proprietà del compagno o della compagna, per soddisfare un interesse proprio, oltre che della coppia, sulla base di un titolo a contenuto e matrice personale la cui rilevanza sul piano della giuridicità è custodita dalla Costituzione, sì da assumere i connotati tipici della detenzione qualificata".

In particolare la Suprema Corte, trattando il caso in argomento ha stabilito che: "la donna non può costringere l'uomo a lasciare l'abitazione, anche se proprietaria dell'immobile, chiamando le forze dell'ordine sostenendo di temere la consumazione di reati come il furto oppure la violazione di domicilio.

Dunque, non può neppure far consegnare le chiavi dell'ex compagno agli agenti anche se gli stessi hanno verificato il regolare possesso dell'immobile da parte della donna."

Nel caso di specie, il Tribunale di Roma accoglieva la domanda possessoria presentata da M.G. dopo aver accertato il lamentato spoglio nel possesso di un appartamento abitato dalla coppia durante la convivenza.

Nel contempo condannava la Signora L.L., ex compagna del ricorrente, a reintegrare lo stesso nel compossesso dell'appartamento,oltre al risarcimento del danno.

La Corte d' Appello respingeva il ricorso presentato dalla convivente confermando la sentenza di primo grado.

In buona sostanza, l'immobile in questione, era stato venduto da M.G., con rogito notarile, alla sua compagna; dopo il trasferimento del possesso alla ex compagna il ricorrente continuava ad utilizzare l'appartamento come appoggio anche perché al piano inferiore, in un altro appartamento,c'era il suo studio medico.

Dopo la fine della relazione l'uomo continuava ad avere  libero accesso alla casa perché aveva una copia delle chiavi,inoltre, all' interno dell' immobile conservava mobili ed effetti personali.

La ex convivente infastidita da questo atteggiamento decideva di chiamare i carabinieri per estrometterlo dall' immobile per evitare a suo dire la commissione di reati (tipo furto o violazione di domicilio).

L'uomo consegnava le chiavi ai militari temendo conseguenze penali; sul punto la Cassazione riteneva  che con la consegna  spontanea delle chiavi alle forze dell'ordine l'uomo non manifestava la volontà di dismettere il compossesso.

 La giurisprudenza della Corte più volte  si è espressa ritenendo che: 

"il solo fatto della convivenza, anche se determinata da rapporti intimi, non da diritto alle persone che convivono con chi possiede il bene un potere sulla cosa che possa essere configurato come possesso autonomo sullo stesso bene o come una sorta di compossesso".

Ci sono anche sentenze di segno diverso che stabiliscono quanto segue:

"La convivenza more uxorio determina, sulla casa di abitazione  un potere di fatto basato su un interesse proprio ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità.

Ne consegue che : l'estromissione violenta o clandestina del convivente dall'unità abitativa, compiuta dal partner, giustifica il ricorso alla tutela possessoria.

E',dunque, consentito all'ex convivente di esperire l'azione di spoglio nei confronti dell'altro quand'anche il primo non vanti un diritto di proprietà sull'immobile che, durante la convivenza, sia stato nella disponibilità di entrambi."

In definitiva, la Suprema Corte chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto dalla donna rigettava i primi tre motivi del ricorso e accoglieva il quarto con il quale si censurava che la Corte d'appello avesse confermato la ritualità della domanda di risarcimento del danno, nonostante questa fosse stata proposta soltanto all'udienza di precisazione delle conclusioni. 

La Corte cassava senza rinvio la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e, ferme le altre statuizioni, dichiarava inammissibile la domanda risarcitoria. Dichiarava, poi, integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

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