di Marco Massavelli - Corte di Cassazione Civile, sezione VI, sentenza n. 24515 del 30 ottobre 2013. Il diritto del coniuge di ottenere un assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest'ultimo, ancorché allo stato non autosufficiente economicamente, abbia in passato iniziato a espletare un'attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di un'adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento da parte del genitore, senza che assuma rilievo il sopravvenire di circostanze ulteriori le quali, se pur determinano l'effetto di renderlo privo di sostentamento economico, non possono far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti siano già venuti meno. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione Civile, con la sentenza 30 ottobre 2013, n. 24515.

Ai fini della decisione sulle modifiche concernenti il diritto all'assegno di mantenimento

è necessario, secondo la Suprema Corte, valutare adeguatamente la situazione occupazionale e reddituale delle parti, rispetto a quella esistente al momento della pronuncia della sentenza di divorzio. La ricorrenza di motivi sopravvenuti, rispetto alla situazione accertata dalla sentenza di divorzio, e relativi alla situazione economica del coniuge obbligato, inizialmente, al versamento dell'assegno di mantenimento
per la prole, maggiorenne, ma in stato lavorativo di disoccupazione, conviventi con la madre, alla quale era stata assegnata la casa coniugale, e delle figlie, al conseguimento del loro stato consolidato di indipendenza economica con cessazione della convivenza di queste ultime con la madre, giustificano la richiesta di eliminazione o riduzione dell'assegno corrisposto dal coniuge a titolo di contributo al mantenimento delle figlie maggiorenni e di revoca dell'assegnazione della casa coniugale.



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