di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione seconda, sentenza n. 22982 del 9 Ottobre 2013. L'avvocato che non invia la notula all'amministrazione, per la quale ha prestato attività di consulenza professionale, non ha diritto alla liquidazione del maggior danno per interessi. E quando insorge controversia sull'ammontare della nota spese, il cliente non può essere considerato in mora prima dell'ordinanza di liquidazione ed è solo da tale ordinanza che possono decorrere gli interessi.

Secondo la Cassazione inoltre anche se c'è stato un accordo tra le parti per importi dovuti, è sempre l'avvocato a doverlo provare "dovendosi in mancanza fare riferimento alle tariffe professionali".

Dopo il rigetto della domanda di primo grado l'avvocato che si era visto negare dai giudici di merito il riconoscimento di maggiori importi, ha fatto ricorso in Cassazione giacché a suo dire vi sarebbe stato un difetto di motivazione del giudice del merito, il quale non avrebbe fornito adeguata spiegazione alla riduzione della quantificazione degli onorari liquidati. 

La determinazione degli onorari di avvocato però - spiega la corte - "costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice, che, se contenuto tra un minimo ed un massimo delle tariffe, non richiede specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato

in sede di legittimità a meno che l'interessato specifichi le singole voci della tariffa che assume essere stata violata". Il controllo di ragionevolezza in sede di legittimità può infatti essere espletato soltanto a fronte di specifica doglianza, circoscritta e motivata, in quanto "l'eventuale violazione di tariffe professionali integra un'ipotesi di error in iudicando e non in procedendo". Infine, in merito agli interessi addebitabili al cliente, la mora debendi - in caso di contestazione dell'importo liquidato - si verifica solo a seguito di ordinanza che conclude il procedimento.

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