di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, sentenza n. 21820 del 24 Settembre 2013. Il giudice è libero nella valutazione delle prove e degli argomenti di prova prodotti dalle parti in corso di causa. Questo è il principio generale contenuto nell'art. 116 cod. proc. civile (valutazione giudiziale secondo prudente apprezzamento). Tale principio va coordinato con un altro fondamentale criterio contenuto nel codice civile

, l'art. 2697: l'onere della prova grava sulla parte che formula una determinata pretesa. Nel caso in oggetto il lavoratore contesta l'avvenuto licenziamento verbale, chiedendo la propria reintegrazione e la condanna della società al risarcimento del danno. In primo grado il Tribunale, riconosciuta la natura subordinata del rapporto, condannava l'impresa al pagamento delle differenze retributive; la società impugnava la sentenza e ne otteneva la totale riforma in grado d'appello. Secondo il giudice del merito, infatti, l'appellato non avrebbe fornito adeguati elementi di prova idonei ad attestare la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso. I testi presentati dal lavoratore avrebbero fornito dichiarazioni contrastanti e poco precise. Avverso tale sentenza l'interessato propone ricorso in Cassazione.

La Suprema Corte rigetta il ricorso. Ricorda infatti come sia orientamento costante la devoluzione al giudice del merito della "individuazione delle fonti del proprio convincimento e pertanto anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta - tra le risultanze probatorie - di quelle ritenute idonee ad accertare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro spessore probatorio, con l'unico limite dell'adeguata e congrua motivazione del criterio adottato". In definitiva, si tratta di un sindacato nel merito e non di legittimità, ipotesi esclusa nel giudizio di cassazione.

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