La Corte di Cassazione, con sentenza n. 20158 del 3 settembre 2013, ha affermato la legittimità del licenziamento disciplinare intimato ad un dipendente di una Casa di Cura a seguito della sua condanna per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti sebbene avvenuto al di fuori della struttura.
In particolare la Suprema Corte ha sottolineato, come correttamente osservato dai giudici di merito, che "l’elencazione delle condotte legittimanti l’irrogazione della sanzione del licenziamento per giusta causa

(ultimo capoverso dell’art. 41 Ccnl) ha valore puramente indicativo e certamente non tassativo laddove il fondamento del recesso possa essere individuato nella nozione legale di giusta causa e cioè in un comportamento di gravità tale da comportare la lesione del vincolo fiduciario tra le parti."
Nel caso in esame - proseguono i giudici di legittimità - "si ravvisano ulteriori elementi che connotano più gravemente il fatto contestato rispetto all'ipotesi individuata dalla contrattazione collettiva e cioè il fatto che la prestazione di lavoro si svolgeva in una Casa di Cura per degenti che (...) opera come Residenza per anziani non autosufficienti."
Il fatto addebitato al dipendente - si legge nella sentenza - "benchè commesso al di fuori dell'ambiente di lavoro, necessariamente è elemento idoneo ad incrinare il rapporto fiduciario tra le parti posto che l'azienda avrebbe dovuto continuare ad attribuire compiti del genere, implicanti cioè rapporti stretti con anziani non autosufficienti, a soggetto condannato per spaccio di cocaina."
Il sapere che un dipendente addetto a mansioni che si svolgono in un ambiente così particolare e delicato (riguardino o meno l’assistenza diretta agli anziani) è stato condannato per spaccio di cocaina non può che rompere il vincolo fiduciario tra le parti, apparendo connotato da un particolare disvalore ambientale.


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