di Barbara Luzi - Il T.U. Immigrazione all'art. 5 c. 5 recita: "Il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili. Nell'adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale."

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 202 del 18 luglio 2013, è intervenuta proprio dichiarando l'illegittimità costituzionale della parte evidenziata in grassetto in cui è prevista una valutazione del rilascio del permesso di soggiorno si applichi solo per lo straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, vale a dire solo per chi ha presentato formale domanda.
Il giudizio di legittimità costituzionale era stato promosso dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto sugli articoli 5, comma 5, e 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Disposizioni sull'ingresso, il soggiorno e l'allontanamento dal territorio dello Stato), in relazione agli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 della Costituzione, nonché all'art.117, primo comma, Cost. con riferimento all'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952.
La questione ha origine da un giudizio per l'annullamento del decreto emesso dal Questore di Venezia con il quale è stata respinta l'istanza del cittadino straniero per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo. Il provvedimento di diniego è fondato sul giudizio di pericolosità sociale del soggetto desunto dai precedenti dello stesso in materia di stupefacenti relativa a fatti del 2002.
Il TAR, però, ritiene che il giudizio di pericolosità sociale non sia motivato visto che i fatti risalgono nel tempo all'anno 2002 e mancherebbe pertanto la pericolosità attuale. Comunque la richiesta di rinnovo di permesso di soggiorno sarebbe stata automaticamente rigettata in considerazione della detta condanna, anche se non definitiva, ed in ogni caso il giudizio discrezionale è rimesso alla Pubblica amministrazione che deve tenere conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato, delle conseguenze dell'espulsione e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale.
Secondo il Tribunale Amministrativo, quindi, il ricorrente si troverebbe nelle condizioni sostanziali per ottenere sia il ricongiungimento familiare che il permesso CE di lungo soggiorno, ma non avendo presentato le relative istanze e non avendo esercitato i relativi diritti, né ottenuto i relativi provvedimenti, non rientra nelle eccezioni previste dal legislatore e dovrebbe, essere assoggettato all'automatismo ostativo al rinnovo del permesso di soggiorno, in forza della condanna subita. Secondo il TAR da qui deriverebbe la non manifesta infondatezza della questione di legittimità degli artt. 5, comma 5, e 9 del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui non estendono le eccezioni previste a coloro che si trovano nelle condizioni sostanziali per ottenere il ricongiungimento familiare o il permesso di soggiorno di lungo periodo, ma non hanno richiesto i relativi provvedimenti.
Il ricorrente è presente sul territorio nazionale dal 1992 anno in cui ha contratto matrimonio con una cittadina italiana dalla quale ha avuto un figlio, successivamente ha divorziato da questa persona ed ha contratto matrimonio con una cittadina straniera titolare di un permesso per soggiornanti di lungo periodo, dalla quale ha avuto due figli ancora minorenni.
Motivi del ricorso
Il ricorrente sostiene che la mancata estensione della tutela rafforzata contro l'allontanamento, prevista dagli artt. 5 e 9 del decreto, a chi non abbia presentato un'istanza di ricongiungimento perché la famiglia si è formata in Italia, "violerebbe i principi di uguaglianza e di proporzionalità di cui all'art. 3 Cost., perché discrimina tra situazioni identiche dal punto di vista sostanziale". Irragionevole e sproporzionato ex art. 3 Cost. sarebbe poi il "sacrificio dei diritti inviolabili dell'uomo ex art. 2 Cost., dei diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio ex art. 29 Cost., del diritto e dovere dei genitori di istruire ed educare i figli ex art. 30 Cost. e del principio di cui all'art. 31 Cost., che dispone che la Repubblica agevola la formazione delle famiglie proteggendo l'infanzia e la gioventù".
Il Presidente del Consiglio dei ministri è intervenuto nel giudizio, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale venga dichiarata manifestamente inammissibile o non fondata.
La Corte Costituzionale respinge la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all'art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998 mentre ritiene ammissibile quella relativa all'art. 5, comma 5, del decreto citato.
Al legislatore è riconosciuta ampia discrezionalità nel regolare l'ingresso e il soggiorno dello straniero nel territorio nazionale, in considerazione della pluralità degli interessi che sono coinvolti. Nell'ambito di questa discrezionalità, il legislatore può anche prevedere casi in cui, di fronte alla commissione di reati di una certa gravità, ritenuti particolarmente pericolosi per la sicurezza e l'ordine pubblico, l'amministrazione sia tenuta a revocare o negare il permesso di soggiorno automaticamente e senza ulteriori considerazioni. Per la costante giurisprudenza la condanna di uno straniero per determinati reati può giustificare il mancato rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno ma bisogna bilanciare da un lato l'interesse a mantenere la sicurezza e l'ordine pubblico, allontanando eventuali soggetti che dovessero minare questo equilibrio, e dall'altro tenere in considerazione il fatto che questo genere di automatismi vanno ad incidere in modo sproporzionato ed a volte irragionevole sui diritti fondamentali della persona.
"Nel caso in esame, la disposizione impugnata delimita l'ambito di applicazione della tutela rafforzata, che permette di superare l'automatismo solo nei confronti dei soggetti che hanno fatto ingresso nel territorio in virtù di un formale provvedimento di ricongiungimento familiare, determinando così una irragionevole disparità di trattamento rispetto a chi, pur versando nelle condizioni sostanziali per ottenerlo, non abbia formulato istanza in tal senso. Simile restrizione viola l'art. 3 Cost. e reca un irragionevole pregiudizio ai rapporti familiari, che dovrebbero ricevere una protezione privilegiata ai sensi degli artt. 29, 30 e 31 Cost. e che la Repubblica è vincolata a sostenere, anche con specifiche agevolazioni e provvidenze, in base alle suddette previsioni costituzionali."
"Per questi motivi la Corte Costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 (Disposizioni sull'ingresso, il soggiorno e l'allontanamento dal territorio dello Stato), nella parte in cui prevede che la valutazione discrezionale in esso stabilita si applichi solo allo straniero che «ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare» o al «familiare ricongiunto», e non anche allo straniero «che abbia legami familiari nel territorio dello Stato» e dichiara, invece, inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata con l'ordinanza in epigrafe in relazione all'art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998."

Barbara Luzi - barbaraluzi@libero.it
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