di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, sentenza n. 17478 del 17 Luglio 2013. Un medico ricorre al Tribunale per veder dichiarata la propria posizione di lavoratore subordinato (aiuto medico presso una clinica privata) nonostante l'azienda avesse qualificato lo stesso come libero professionista. Tale statuizione è stata confermata in appello. Ricorre così in Cassazione l'azienda ospedaliera.

Denuncia la ricorrente violazione di legge in merito all'errata applicazione, da parte della corte territoriale, degli artt. 2094 e 2222 cod. civ., nonché errata, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza

impugnata. La Suprema Corte rileva come in realtà non si riscontrino i difetti di motivazione denunciati dalla ricorrente e che, di conseguenza, non sia onere della Corte adita procedere ad un esame della questione nel merito. Si sofferma tuttavia ad esplicare il principio di diritto per cui, ai fini di correttamente inquadrare il rapporto di lavoro intercorrente tra due soggetti, rilevi il criterio fattuale a discapito del mero inquadramento formale del rapporto di lavoro, così come prospettato dal datore. La resistente, nell'esplicare le sue funzioni lavorative, era infatti tenuta a firmare fogli di presenza, ad osservare il medesimo orario di lavoro, a rispettare le disposizioni del direttore sanitario, nonché ad assicurare la propria reperibilità. "Circostanze queste che, per le modalità di esecuzione delle sue prestazioni attestano come il medico fosse stabilmente inserita nell'organizzazione aziendale". Sulla base delle considerazioni sopra esposte, la Cassazione rigetta il ricorso.

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