di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, sentenza n. 16504 del 2 Luglio 2013. Un datore di lavoro viene condannato in primo grado al risarcimento del danno nei confronti del dipendente per illegittimità del licenziamento: secondo il giudice del lavoro la circostanza che il datore, nonostante avesse intimato il licenziamento al dipendente, avesse consentito la prosecuzione del rapporto oltre il termine stabilito nella lettera di licenziamento avrebbe configurato revoca tacita del licenziamento stesso. Il datore impugna la sentenza di primo grado affermando che il rapporto sarebbe proseguito per un ulteriore periodo oltre la data prefissata (nella specie, quindici giorni) semplicemente per un errore materiale riscontrato nel computo del periodo di preavviso indicato nella lettera, minore rispetto a quello stabilito dal CCNL di categoria.

Nelle sue difese la parte ricorrente afferma che "l'errata indicazione nella lettera di licenziamento

della decorrenza e della ridotta durata del preavviso, mai avrebbe potuto modificare i termini legali in essere, in particolare per quel che attiene la durata del preavviso che ben può essere superiore a quella contrattuale ma mai, ovviamente, inferiore". La Suprema Corte ribadisce tuttavia come "la concessione del preavviso non si pone come effetto previsto dalla legge ma deve essere espresso dalla parte recedente". Il criterio da applicare è dunque quello della volontà delle parti, desumibile a prescindere dal contratto collettivo di categoria. La Cassazione ricorda poi come non sia in suo potere sindacare la scelta di merito della Corte d'Appello, la quale ha ritenuto opportuno, sulla base degli elementi prodotti in corso di causa, confermare che il permettere la prosecuzione del rapporto, anche se per pochi giorni, avrebbe configurato una revoca tacita del licenziamento.  

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