di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, sentenza n. 12564 del 22 Maggio 2013. Il rapporto di associazione in partecipazione è quella fattispecie contrattuale tipica prevista agli artt. 2549 e ss. cod. civ., la quale contempla la partecipazione del prestatore di lavoro agli utili e, salvo patto contrario, alle perdite aziendali.

Normalmente al lavoratore viene corrisposto una quota mensile a titolo di acconto sull'utile presunto, somma che a fine anno verrà poi ragguagliata agli utili (con versamento della differenza) o alle perdite (con relativa richiesta di rimborso) d'esercizio.

 

Nel caso in oggetto, nel quale una società ha proposto ricorso avverso casella esattoriale per il pagamento di oneri previdenziali (poiché il rapporto di lavoro del prestatore avrebbe in effetti rivestito i caratteri del subordinato e non dell'autonomo) la Suprema Corte spiega quali siano le caratteristiche distintive alla base, da una parte, del rapporto di lavoro subordinato e, dall'altra, del lavoro autonomo. Nel primo carattere distintivo è "l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell'organizzazione aziendale"; "l'assenza del rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario e la forma della retribuzione" sono invece elementi meramente sussidiari.

Per questa particolare tipologia contrattuale inoltre è necessario che i consociati possano esercitare un controllo sugli utili e che non rimangano estranei dalla gestione dell'azienda. L'insieme di tutti questi caratteri ha spinto il giudice di merito a concludere che un rapporto con tali caratteristiche non può di certo essere ricondotto allo schema contrattuale dell'associazione in partecipazione, ravvisandosi in questo caso un sostanziale rapporto di lavoro subordinato.

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