La Corte di Cassazione, con sentenza n. 15550 del 7 maggio 2013, decidendo in merito all’illegittimità del licenziamento di un lavoratore a causa dell'abusivo utilizzo del telefono cellulare assegnatogli per ragioni di servizio e sulla possibilità di una sua reintegra, si è soffermata sull’applicabilità o meno della nuova disciplina sanzionatoria dei licenziamenti introdotta con la legge n. 92 del 2012 (cd. Legge Fornero).
La Suprema Corte, affermando la possibilità di reintegro del dipendente che con il cellulare dell’azienda aveva spedito moltissimi messaggi privati, in quanto l’abuso del telefono aziendale può ben essere controllato dal datore, ha precisato che la corte d'appello, ribaltando il giudizio espresso dal giudice di primo grado, ha esaminato, sulla base delle circostanze di fatto accertate nel corso dell'istruttoria e con specifico riferimento alle stesse, la gravità della condotta tenuta, l'intensità dell'elemento soggettivo e l'importanza del danno, pervenendo alla motivata conclusione di non ravvisare nel comportamento contestato una irreversibile lesione del vincolo di fiducia che deve legare datore di lavoro e lavoratore dipendente ed in particolare quel grave nocumento materiale o morale che l'art. 43 lett. B del c.c.n.l., posto a base del recesso, richiede per l'irrogazione della massima sanzione espulsiva.
Per quanto riguarda poi la applicabilità della nuova disciplina sanzionatona dei licenziamenti introdotta con la legge n. 92 del 2012 (cd. Legge Fornero) sul rilievo che, in mancanza di disposizioni transitorie, il nuovo testo dell'art. 18 sarebbe immediatamente applicabile, i Giudici di legittimità hanno sottolineato che “con la legge n. 92 del 2012 è stato introdotta una nuova, complessa ed articolata disciplina dei licenziamenti che ancora le sanzioni irrogabili per effetto della accertata illegittimità del recesso a valutazioni di fatto incompatibili non solo con il giudizio di legittimità ma anche con una eventuale rimessione al giudice di merito che dovrà applicare uno dei possibili sistemi sanzionatoti conseguenti alla qualificazione del fatto (giuridico) che ha determinato il provvedimento espulsivo.”.
Una diversa interpretazione ad avviso della Corte risulterebbe in contrasto, in primo luogo, con il principio della ragionevole durata del processo sancito, oltre che direttamente dalla Carta Costituzionale (art.111 Cost.), anche dall'art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, nonché dall'art. 47 della Carta Europea dei diritti fondamentali.
In particolare - si legge nella sentenza - si evidenzia che il nuovo sistema prevede distinti regimi di tutela a seconda che si accerti la natura discriminatoria del licenziamento, l'inesistenza della condotta addebitata, ovvero la sua riconducibilità tra quelle punibili solo con una sanzione conservativa (sulla base delle disposizioni dei contratti collettivi o dei codici disciplinari applicabili).
Si tratta di un'evidente "stravolgimento" del sistema di allegazioni e prove nel processo, che non è limitato ad una modifica della sanzione irrogabile ma si collega ad una molteplicità di ipotesi diverse di condotte giuridicamente rilevanti cui si connettono tutele tra loro profondamente differenti. "Un sistema unico che non incide sul solo apparato sanzionatorio ma impone un approccio diverso alla qualificazione giuridica dei fatti incompatibile con una sua immediata applicazione ai processi in corso."


Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: