Interventi legislativi e recenti pronunce della Corte Costituzionale (da ultimo la sentenza 23 maggio 2003, n. 169) hanno profondamento modificato l'originario impianto del giudizio abbreviato. Questione dibattuta è quella relativa al diritto dell'imputato di rendere dichiarazioni spontanee nel corso di tale giudizio. Nel sistema processuale antecedente all'entrata in vigore della legge 16 dicembre 1999, n. 479 , non poche controversie erano sorte relativamente all'ammissibilità o meno dell'interrogatorio dell'imputato
durante il rito abbreviato. Alcuni giudici di merito avevano sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 440, nella parte in cui non prevedeva la revoca dell'ordinanza di ammissione del rito, accertato che, a seguito della nuova versione difensiva seguente alle dichiarazioni dell'imputato, il processo non era più decidibile allo stato degli atti. La Corte Costituzionale, pur condividendo tali argomentazioni (Corte Cost. sentenza n. 318 del 1992), aveva ritenuto di non poter introdurre modifiche con una sentenza
additiva e consentire, così come richiesto, la revoca dell'ordinanza ovvero l'integrazione probatoria, in un giudizio ancorato allo stato degli atti. La questione, anche nella nuova normativa, non è molto dissimile, posto che l'imputato, attraverso l'interrogatorio (ovvero le dichiarazioni spontanee) può sempre fornire una versione difensiva alternativa, che richiede accertamenti istruttori e, soprattutto, può comportare una modifica dell'imputazione, quantomeno nei limiti di cui all'art. 423, comma 1 (fatto diverso, reato connesso, circostanza aggravante). Ora, la modificazione dell'imputazione, nel rito abbreviato, è possibile solo nelle ipotesi di integrazione probatoria (artt. 438, comma 5 e 441, comma 5); dunque, salva l'ipotesi che tale atto istruttorio (l'interrogatorio dell'imputato
, ma ciò vale anche per le dichiarazioni spontanee) sia richiesto ai sensi dell'art. 438, comma 5 (e, quindi, come atto di integrazione probatoria ritenuto necessario ai fini della decisione) ovvero sia ammesso dal giudice ai sensi dell'art. 441, comma 5 (quale elemento necessario per la decisione), non può riconoscersi all'imputato - a rito abbreviato ormai instaurato - il diritto di essere interrogato a propria richiesta (ed, a maggior ragione, non può riconoscersi il diritto di rendere spontanee dichiarazioni), diversamente da quanto previsto dagli artt. 421 e 422. Peraltro, l'indagato, prima ancora dell'esercizio dell'azione penale, può chiedere di essere interrogato dal pubblico ministero ex art. 415 bis; il rito abbreviato è possibile evoluzione dell'udienza preliminare ed in quel contesto, comunque, il giudice procede a disporlo: prima dell'ordinanza l'imputato può chiedere di essere interrogato ovvero di rendere spontanee dichiarazioni e potrà essere specificatamente richiesto in tal senso dal giudice. Né, in favore di un generale potere dispositivo dell'imputato di essere interrogato ovvero di rendere spontanee dichiarazioni, può valere l'art. 441, comma 6 ed il rinvio all'art. 422, commi 2, 3 e 4; il rinvio, infatti, è limitato alle forme e ciò pare avvalorare l'ipotesi che nel rito abbreviato l'interrogatorio dell'imputato è possibile, ma solo nei limiti di cui agli artt. 438, comma 5 e 441, comma 5, secondo lo stesso tenore dell'art. 441, comma 6. Infine, non pare lecito invocare, in questo caso, il principio del contraddittorio: il rito abbreviato è uno dei casi regolati dalla legge in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio, in virtù del consenso dell'imputato. Secondo una recente pronuncia, peraltro, nel giudizio abbreviato è ammissibile la richiesta dell'imputato di sottoporsi ad interrogatorio ai sensi dell'art. 421, comma 2, del codice di procedura penale, purchè sia avanzata prima dell'inizio della discussione per non alterare le regole del contraddittorio in relazione agli elementi di difesa apportati dall'imputato, sui quali deve essere ammessa la facoltà delle altre parti di pendere parola (Cass. 10 gennaio 2002 n. 937; tuttavia è bene osservare come i fatti oggetto del processo risalgano ad epoca antecedente le innovazioni della legge Carotti e la sentenza impugnata - GIP Tribunale di Milano - è del 13 ottobre 1999. Nel giudizio, poi, l'imputato aveva fatto richiesta di essere interrogato dopo che era iniziata la discussione ed era stata dal giudice ritenuta - correttamente secondo il Supremo Collegio - tardiva).

( Corte Costituzionale, Sent. 23/05/2003 , n. 169 )

(Articolo pubblicato su autorizzazione di www.leggiditalia.it)

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