di Licia Albertazzi  - Corte di Cassazione Civile, sezione sesta, sentenza n. 17593 del 17 Aprile 2013. Nella sentenza in oggetto la Suprema Corte interviene per far chiarezza circa l'inquadramento normativo della fattispecie di costrizione fisica perpetrata da un pubblico ufficiale ai danni di un privato. Deve prevalere il ruolo specifico rivestito dal soggetto e dunque applicare l'art. 317 c.p. (concussione

) oppure l'atto fisico in sé, facendolo rientrare nella fattispecie criminosa di minacce ex art. 612 c.p.?

Nel primo caso l'art. 317 c.p. Fa espresso riferimento al requisito della "valenza prevaricatrice". La posizione di supremazia rivestita dal pubblico ufficiale, che in quel momento possiede quel potere d'imperio in qualità di rappresentante dello Stato, deve essere tale da costringere la vittima a dare o a promettere utilità. L'evento della costrizione fisica tuttavia travalica i caratteri tipici di questo istituto. Così, in ossequio al principio cardine della tassatività della norma penale, la condotta tenuta dall'ufficiale non può che essere ancorata alla pur specifica previsione della fattispecie di minacce.

Essa infatti fa genericamente riferimento alla prospettazione di un male ingiusto il cui verificarsi dipende dalla volontà dell'agente, abbracciando di conseguenza anche il caso di specie. Residuale resta infine l'ipotesi di cui all'art. 319quater c.p. (induzione indebita a dare o promettere utilità), ritenuta dalla Suprema Corte di applicazione soltanto marginale ed essendo la condotta adottata dal soggetto attivo meglio inquadrabile nella fattispecie della costrizione fisica.


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