Avv. Francesca Cosentino - Il CNEL, alla seduta d'assemblea del 20 marzo 2013,ha approvato all'unanimità il Disegno di legge delega al Governo per razionalizzare e codificare l'attuazione e l'accertamento dei tributi e per la revisione delle sanzioni amministrative e del processo tributario. Il Disegno di legge è stato predisposto dal CNEL, con l'ausilio di docenti ed esperti del diritto tributario, in ottemperanza all'art. 99 della Costituzione della Repubblica Italiana e all'art.10, legge n. 936/1986 recante "Norme sul Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro".

Fra i punti più innovativi riguardanti la revisione del processo tributario (v. art.4, D.L.), il disegno di legge prevede:

che sia garantito l'accesso del contribuente alla tutela giurisdizionale, senza preclusioni limitative in grado di condizionarla (lett. c);

che il processo sia articolato in tre gradi di giudizio,i primi due espletati da Tribunali tributari e da  Corti d'Appello tributarie con sede, rispettivamente, nei capoluoghi di provincia e di regione ed il terzo espletato da una apposita sezione tributaria della Corte di Cassazione, costituita da trenta giudici, ripartiti in cinque sottosezioni in ragione della materia, di cui la prima presieduta dal Presidente della Sezione tributaria e le altre da un loro componente; che sia espressamente riconosciuto al Presidente della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione il potere di disporre che i ricorsi che presentano questioni di diritto già decise in senso difforme dalle sottosezioni e quelli che presentano una questione di particolare importanza vengano decise da un Collegio unitariamente composto dai Presidenti delle cinque sottosezioni o in loro vece da un componente di ciascuna sottosezione designato dal rispettivo presidente (lett. e);

che i giudici tributari abbiano una qualificazione professionale a garanzia della preparazione specialistica (lett. f);

che sia istituito,per la rappresentanza e difesa delle parti nel processo tributario, un apposito albo dei difensori tributari presso ciascuna Corte d'Appello tributaria e presso la Sezione tributaria della Corte di Cassazione (lett. g);

che le norme del contenzioso tributario siano adeguate alla peculiare natura del rito rispetto a quello civile e amministrativo e, per l'aspetto, in particolare: che la disciplina dell'astensione e della ricusazione dei giudici tributari sia adeguata alla particolare natura delle parti resistenti in primo grado (lett. h 3); che la tutela cautelare sia  uniformata e generalizzata in ogni stato  e grado del processo tributario; (lett.h10); che la conciliazione giudiziale sia estesa anche in grado di appello e in pendenza di giudizio di revocazione; salva sempre la possibilità della conciliazione stragiudiziale anche in pendenza del terzo grado di giudizio davanti la Sezione tributaria della Corte di Cassazione (lett. h11); che tutte le parti del giudizio possano produrre nuovi documenti in appello e che la  sanzione di inammissibilità per il mancato deposito di copia dell'appello nella segreteria  del giudice che ha emesso la sentenza

appellata sia abolita e sostituita con altro strumento atto ad evitare l'incauto rilascio di formule esecutive (lett.h12); che il procedimento davanti la Sezione tributaria della Corte di Cassazione sia disciplinato in modo ragionevolmente conforme alla diversità del terzo grado del processo tributario rispetto a quello interamente disciplinato dal codice di rito civile, dunque, che solo alcune delle attuali norme di rito siano conservate adeguandole al detto criterio ( lett. h13);che la disciplina dell'immediata esecutorietà delle decisioni dei giudici tributari sia valevole per tutte le parti in causa (lett. h14);

In sintesi, il disegno di legge sembra demandare maggiori garanzie del diritto di difesa del contribuente: a monte mediante l'eliminazione di ogni forma di preclusione1 all'accesso alla giustizia, inclusa la mancata elencazione degli atti tributari autonomamente impugnabili; poi in sede di esercizio della difesa attraverso la creazione di un corpo di magistrati qualificati e garantisti e di altrettanti qualificati difensori ed attraverso: la tutela cautelare in pendenza del giudizio, cioè la sospensione dell'esecutività dell'atto impugnato in ogni stato e grado di giudizio, anziché solo nel primo grado (v. art.47, D.Lvo n. 546/92) e in secondo grado limitatamente alle sanzioni (v. art. 68, D.Lvo n. 546/92); la conciliazione giudiziale in grado di appello e di revocazione; la conciliazione stragiudiziale in  pendenza di ogni stato e grado di giudizio; la nuova produzione documentale in appello svincolata dal previo deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o dall'ordine del giudice;una disciplina del giudizio di terzo grado specifica e conforme alla peculiarità del rito tributario; l'esecutorietà delle decisioni giudiziali nei confronti di tutte le parti, anziché di quelle sole di condanna, totale o parziale, verso il contribuente (v. artt. 68, 69 e 69-bis, D.Lvo n. 546/92).

Lascia comunque dubbi  e perplessità su alcuni punti, tra i quali:

1.La lett. g) che non circoscrive il concetto di ‘parte' nel processo tributario  al solo contribuente, persona fisica o giuridica;perciò,sembra riguardare tutti coloro che sono parti ai sensi dell'art. 10, D.Lvo n.546/92, incluso l'ufficio del Ministero delle finanze, l'Ente locale o il Concessionario del servizio di riscossione che ha emanato l'atto impugnato o non ha emanato l'atto richiesto, i quali, ai sensi dell'art 12, D.Lvo n.546/92, possono stare in giudizio direttamente. Logico corollario è che, nel silenzio della norma, anche queste parti in futuro dovrebbero essere rappresentati ed assistiti dal ‘difensore tributario' iscritto al relativo albo.

2.La verifica dei criteri selettivi che possano garantire effettivamente la  professionalità dei magistrati tributari, nel senso dell'adeguata preparazione specialistica nel diritto tributario sostanziale e processuale, posto che le istanze di competenza e di qualifica professionale del giudice tributario erano già state espresse, nell'art.30, co 1, lett. (a  e  lett. (f, dalla Legge delega n.413/91, in base alla quale furono emanati i Decreti Legislativi n.546/92 e n.545/92, e poi erano state definite nei criteri  di nomina di cui al D.M. n. 219/2007.  Ed, a maggior ragione, la verifica dei criteri selettivi per la giusta iscrizione all'istituendo albo dei difensori tributari.  

Il generico riferimento alla normativa europea - dal quale ora si prendono le mosse- induce all'art.6.1, 2 Convenzione Europea dei Diritti Umani, cristallizzante il principio del giusto processo  in termini di equo esame, durata ragionevole ed equo indennizzo; il principio è rilevante nel processo tributario ove si attribuisca  una valenza per così dire ‘descrittiva' e non precettiva al termine ‘civile' impiegato dalla norma, attribuendovi il significato di qualsiasi processo di natura non penale.

Ebbene, il diritto al giusto processo tributario potrebbe tradursi in una prima istanza: a) l'affidamento delle attività di giudizio interamente a giureconsulti ed avvocati3, con susseguente esclusione dalla magistratura tributaria di quelle fasce professionali di  tecnici (quali i ragionieri, periti commerciali, revisori ufficiali dei conti, revisori contabili, ingegneri, architetti, geometri, periti edili, periti industriali, dottori in agraria, agronomi e periti agrari,dipendenti civili con laurea in economia e commercio od equipollente) e di ‘giuristi' privi di competenza (quali i laureati in giurisprudenza da due anni, gli insegnanti di diritto, i dipendenti civili dello Stato o di altre amministrazioni pubbliche che hanno prestato servizio per almeno due anni in una qualifica alla quale si accede con la laurea in giurisprudenza) oggi legittimati dagli artt.4 e 5, D.Lvo n. 545/92; b) l'affidamento dell'attività di rappresentanza e difesa delle parti ai soli avvocati, con esclusione di quei professionisti che, ai sensi dell'art. 12, co, 2, D.Lvo n. 546/92, sono abilitati all'assistenza tecnica dinanzi alle  commissioni tributarie,se iscritti nei relativi  albi  professionali, quali  i  consulenti  del  lavoro, gli  ingegneri, gli architetti, i geometri, i periti edili, i  dottori  in  agraria, gli agronomi e i periti agrari, e nell'ottica, anche i dottori commercialisti, i ragionieri  ed  i periti commerciali.

Il vaglio, certo, sin qui sembra di immediata e facile applicazione.

Ove il giusto processo, unitamente all'istanza di specializzazione del giudice (lett. f), si traducesse nell'istanza seconda di garantire la speciale competenza degli avvocati, il vaglio potrebbe in parte scoraggiare se, indiscussi l'autorevolezza della dottrina tributaria (docenti, ricercatori, cultori) e  del dato dell'esperienza acquisita (esperti), il discrimine per i giudici e per gli avvocati non rientranti nelle due categorie fosse individuato nel possesso di un titolo rilasciato da apposite Scuole superiori.

Nulla quaestio per la magistratura (potere dello Stato) già sottoposta, per l'ammissione al relativo concorso,al requisito del diploma biennale di specializzazione (v. D.Lvo n.398/97) e, durante il tirocinio

alla frequenza obbligatoria di corsi teorici presso la Scuola superiore della magistratura; per l'avvocatura (categoria professionale), un tale criterio porrebbe a rischio la costituzionalità della norma e la stessa intenzione del legislatore (oltrepassandola).

La  norma che, in tale ipotesi,subordini all'esercizio del patrocinio tributario (pertanto, all'iscrizione all'albo dei difensori tributari) il possesso di un diploma (biennale o non) di specializzazione viola l'art.3, Cost., discriminando l'avvocato tributarista rispetto a chi, nell'esplicazione dell'eguale attività professionale, esercita a difesa di diritti diversi (e di pari rilevanza costituzionale, es. libertà personale, diritto alla salute, allo studio) senza necessità di attestazioni di competenza o di esperienza.

Inoltre, data la rilevanza della materia tributaria e fiscale per i suoi risvolti sul patrimonio del contribuente e, in definitiva, sulle casse dello Stato e degli Enti Locali, non si può sottacere che la rigida demarcazione dei legali in possesso dei "ferri del mestiere" potrebbe creare una lobby, con effetti distorsivi sul conseguimento della ratio legis che, con evidenza, è la maggiore tutela del contribuente e non la sua (forzata) consegna ad un unico difensore influente e privilegiato.


Note

1. ad es. la sanzione dell'inammissibilità del ricorso dichiarabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio che segue alla        mancata attivazione della mediazione tributaria obbligatoria per le liti di valore non superiore ad € 20.000,00, relativamente agli atti emessi dall'Agenzia delle Entrate e da quella del Territorio.

2. art.6.1, CEDU: "Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente ed imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile.."

3.  nel senso depone pure l'istanza di espressa identificazione degli atti tributari autonomamente impugnabili (art.4, lett. (d, cit. D.L.), nella quale non individuo una vera portata innovativa,ma piuttosto la risposta ad esigenze di "sovrabbondante" chiarezza, originate non da un effettivo vuoto normativo ma da lacune operative del giudice tributario nella sua attuale variegata composizione. Infatti, l'art.12, co 2, L. n.448/2001, ha attribuito alla giurisdizione tributaria tutte le controversie avente ad oggetto i tributi di  ogni  genere  e  specie; sulla base della norma, la giurisprudenza del Massimo Giudice (cfr. ex multis SS.UU. n.7388/ 2007; SS.UU. n.11082/2010; Sez. V, n.7344/2012) e del Giudice Amministrativo (cfr. Consiglio di Stato n.6045/2008) ha espressamente configurato la giurisdizione tributaria come giurisdizione a carattere generale, che si radica in base alla materia, indipendentemente dalla specie dell'atto impugnato, tanto da ricondurre ad essa  (v. SS.UU. n.16776/2005) le liti sull'esercizio o mancato esercizio dell'autotutela di atto impositivo. A fronte di ciò, il giudice tributario ancora oggi (ad es. CTP di Catania, Sez. 1, n. 201/01/2013) afferma, in ogni caso, "che la tutela davanti alla giurisdizione tributaria è concessa solo avverso gli atti espressamente previsti dall'art.19 del D.Lvo  che non prevede e non elenca il rigetto dell'istanza in autotutela e che il ricorso avverso il diniego dell'annullamento dell'atto impositivo in sede di autotutela è inammissibile."


Avv. Francesca Cosentino
avvocato del Foro di Catania
Materie: Tributario ed Amministrativo
Riferimenti: Email: francesca.fcosentino@libero.it; Fax 0933 24839

Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: