La Corte di Cassazione, con sentenza n. 15334 del 3 aprile 2013, ha affermato che "integra il reato di violenza sessuale la condotta di colui che prosegua un rapporto sessuale quando il consenso della vittima, originariamente prestato, venga poi meno
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 15334 del 3 aprile 2013, ha affermato che "integra il reato di violenza sessuale la condotta di colui che prosegua un rapporto sessuale quando il consenso della vittima, originariamente prestato, venga poi meno a causa di un ripensamento o della non condivisione della modalità di consumazione del rapporto".

Il caso preso in esame dai giudici di legittimità ha come protagonisti un ventitreenne e la sua ex fidanzata all'epoca dei fatti minorenne. I giudici di merito avevano condannato l'uomo anche per stalking perché con condotte reiterate minacciava, perseguitava e molestava la ragazza, in modo da cagionarle un perdurante stato d'ansia e di paura.

La vicenda in realtà era risultata molto complessa e la condanna per violenza sessuale c'è stata anche perché in varie occasioni, lui aveva costretto la fidanzata a subire e compiere atti sessuali contro la sua volontà con violenza e minacce consistite anche nel legare ed imbavagliare la minore.

Afferma la Suprema Corte che "il consenso della vittima agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell'intero rapporto senza soluzione di continuità" rigettando così la difesa dell'imputato che, sostenendo che non si trattava di pratiche sadiche imposte bensì di giochi erotici cui la persona offesa si era prestata consapevolmente, sosteneva che trattandosi di un rapporto sadomaso non si poteva ritenere che in ogni momento l'imputato avesse l'obbligo di verificare la persistenza del consenso.

I Giudici di Piazza Cavour hanno condiviso la decisione dei giudici di merito che, facendo corretta applicazione dei principi di diritto, hanno escluso che potesse assumere rilievo un consenso al rapporto sessuale prima prestato e successivamente venuto meno dando conto del fatto che la persona offesa aveva manifestato un rifiuto espresso a determinati rapporti sessuali attuati sotto la minaccia e la diffusione di immagini a carattere sessuale.

Corretta dunque la sussistenza della responsabilità dell'imputato in ordine al delitto di violenza sessuale.
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