La Corte di Cassazione, con sentenza n. 7499 del 26 marzo 2013, ha affermato la legittimità del licenziamento del dipendente che non si limita a denunciare i fatti al datore di lavoro in adempimento degli obblighi su di lui gravanti in relazione alle mansioni svolte, ma porta a conoscenza il suo dissenso anche al di fuori del rapporto con l'azienda denunciando un allarme sicurezza poi rivelatosi infondato. Nel caso di specie il lavoratore di una società di gestione di un inceneritore, con qualifica di responsabile dei collaudi, delle verifiche, e dei controlli dei lavori di natura specialistica, nonché della verifica del rispetto delle norme e dei parametri di funzionamento dell'impianto, aveva denunciato che in occasione di un guasto alla caldaia egli non era stato avvisato, sebbene fosse il responsabile, e che i lavori di riparazione non erano stati eseguiti a regola d'arte, così mettendo a rischio i lavoratori.

In relazione all'esposto del lavoratore, inviato alla direzione della Società ed il giorno successivo all'Ispesl, alla ASL, all'Ispettorato del Lavoro, all'Inail e all'istituto di certificazione, la Società aveva contestato al lavoratore la gravissima violazione degli obblighi di lealtà, fiducia, correttezza e buona fede con chiara volontà emulativa non tollerabile per avere utilizzato uno strumento, quello della denuncia, per finalità abusive e distorte con toni ed espressioni colorite in modo da screditare l'operato della società e suscitare un grave allarme.

La Suprema Corte ha rilevato che la Corte d'appello, "dopo aver precisato che la facoltà di denuncia del lavoratore non è di per sé illegittima, ha osservato che, a seguito dell'esposto del lavoratore vi era stata un'ispezione da parte dell'Ispels con fermata dell'impianto; che l'ispezione non aveva evidenziato alcun pericolo né per la caldaia, né per il personale né per la popolazione vicina; che la riparazione era stata fatta in modo adeguato e conforme.

La Corte territoriale ha, pertanto, concluso - con motivazione in fatto logica ed incensurabile in questa sede - che non ricorrevano i presupposti della continenza sostanziale e formale." In particolare la Corte di merito ha sottolineato che "la denuncia del lavoratore circa un modo di operare nell'azienda in contrasto con le prescrizioni imposte ed in grado di pregiudicare la sicurezza dei lavoratori e della popolazione era senz'altro idonea "anche per le espressioni adoperate (v. l'utilizzazione delle locuzioni mettendo una pezza come si faceva un tempo sugli strappi dei pantaloni e facendo un fritto misto, ).... a screditare il datore di lavoro ed a lederne l'immagine e, sotto il profilo della cd. continenza formale , era carente di misura, correttezza ed obiettività trascendendo il mero intento informativo, mentre, sotto il profilo della cd. continenza sostanziale, conteneva accuse risultate non fondate ..e frutto piuttosto della reazione di chi ritenendosi professionalmente non considerato .. .e non ricevendo l'auspicato supporto a livello sindacale ....spera nel sostegno degli istituti competenti...".


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