La Corte di Cassazione, con sentenza n. 2605 del 5 febbraio 2013, ha affermato che i lavoratori socialmente utili non possano beneficiare delle garanzie connesse alla sussistenza di un rapporto di lavoro con l'ente comunale, che genera in capo al datore di lavoro l'obbligo dì attenersi all'osservanza delle norme antinfortunistiche a tutela dei propri dipendenti, essendo evidente la diversità del rapporto che lega il lavoratore socialmente utile all'ente utilizzatore, inserito nel quadro di un programma specifico che utilizza i contributi pubblici.

La Suprema Corte, rigettando il ricorso proposto da un lavoratore, quale addetto L.S.U., per il risarcimento del danno subito a seguito di infortunio sul lavoro, ha precisato che "non può qualificarsi come rapporto di lavoro subordinato l'occupazione temporanea di lavoratori socialmente utili alle dipendenze di un ente comunale per l'attuazione di un apposito progetto, realizzandosi con essa, alla stregua dell'apposita normativa in concreto applicabile, un rapporto di lavoro speciale di matrice essenzialmente assistenziale.

Ne consegue che, in difetto della configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato, non può trovare applicazione la disciplina che regola la materia. "Da ciò discende che, come correttamente osservato dalla Corte territoriale, deve escludersi la responsabilità contrattuale dell'ente Comunale ex art. 2087 c.c., invocata dal ricorrente.".

Esclusa, quindi, la responsabilità dell'ente comunale in forza del richiamo all'art. 2087 c.c., potrebbe ritenersi, secondo i giudici di legittimità, che il titolo della responsabilità si ricolleghi alla mancata adozione, da parte del datore di lavoro, delle norme antinfortunistiche, in conseguenza della cui inosservanza la stessa potrebbe configurarsi in via extracontrattuale.

Pure essendo in linea di principio condivisibile - si legge nella sentenza - che "le norme antinfortunistiche trovino applicazione seppure in via indiretta anche a tutela dei lavoratori socialmente utili, risulta immune dalle censure formulate la decisione della Corte del merito che ha nella sostanza escluso ogni responsabilità del Comune utilizzatore, non ravvisando alcun comportamento colposo omissivo o commissivo dello stesso. È stato, invero, osservato che dall'istruttoria espletata è emerso che erano stati utilizzati accorgimenti per impedire l'evento dannoso, avendo il Comune, "tra l'altro predisposto un cartello, con il quale si avvertiva che il decespugliatore, che ha causato il danno all'appellante, facendo schizzare un sasso ..., doveva essere usato, mantenendo una certa distanza da altre persone o altri lavoratori e che ciò escludeva la necessità per i raccoglitori di erba di indossare la maschera, prevista per l'addetto decespugliatore".

La Corte d'Appello, con motivazione congrua e priva di salti logici, oltre che conforme ai principi di diritto enunciati, ha ritenuto che una valutazione dei rischi connessi alle lavorazioni comandate, ai sensi dell'art. 3 D.Lgs. 626/94 (NDR: attualmente il dlgs 626/1994 è stato sostituito dal "Testo unico sulla salute e sicurezza sui luoghi lavoro" D.lgs 81/2008), fosse stata effettuata e che fossero state fornite adeguate informazioni, necessarie a prevenire eventi dannosi, ai sensi dell'art. 21, con dotazione dei lavoratori esposti ai rischi delle necessarie attrezzature idonee a scongiurare gli stessi (artt. 35 e 41 del D.Lgs. 626/94).

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