Una voce autorevole e lungimirante come quella di Montesquieu sosteneva, già qualche secolo fa, un principio di grande attualità, compendiato in poche semplici parole: "giustizia ritardata è giustizia negata". Occorre fermarsi e riflettere su un'affermazione di tale portata.

In una società di diritto, come quella italiana dovrebbe essere, i tempi biblici della giustizia costituiscono un problema da non sottovalutare. Basti pensare che Nils Muiznieks, commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, nel rapporto sulla recente visita nel nostro paese, ha sottolineato la palese necessità di riformare a fondo l'intero sistema giudiziario e procedurale: solo così sarà possibile risolvere il problema di una giustizia che sembra sopita, con processi talmente lenti da costituire "fonte di gravi preoccupazioni in materia di diritti umani".

L'asserzione di Arthur Bloch che recita "la dilazione costituisce la forma più letale di diniego" assume un valore aggiunto se applicata a quanto accade nel mondo della giustizia italiana. Molteplici le ragioni: quantità enormi di lavoro sulla scrivania dei giudici, irrazionale distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio, inefficienze, carenze di personale e di fondi, ritardi nella modernizzazione tecnologica, formalismo giudiziario (un sistema eccessivamente articolato costringe magistrati, avvocati e cittadini ad una serie di inutili attività rituali che appesantiscono il carico della giustizia), elevato numero degli avvocati, assenza di effettive valutazioni della professionalità dei magistrati.

E' come se il sistema giudiziario italiano si fosse avvitato su se stesso. E se, in ambito civile, la più ampia richiesta di giustizia è, in parte, indice di una maggiore presa di coscienza dei diritti della persona, la lentezza del sistema frustra quegli stessi diritti che si vogliono tutelare: le cause si trascinano per anni (la media ufficiale è di circa 4 anni e 5 mesi, ma non è raro che un cittadino aspetti oltre 10 anni la definizione di un processo di primo grado ed oltre 3 anni in appello), spesso passano da un giudice all'altro senza pervenire a una soluzione e, durante questi lunghi periodi, gli interessi delle parti restano sospesi, con conseguenze che possono risultare decisamente pesanti sia sul piano personale che su quello economico.

In ambito penale, la macchinosità dell'attività istruttoria, la pretestuosità del giudizio, il cattivo funzionamento della macchina processuale fanno si che i processi si concludano molto spesso con prescrizioni piuttosto che con assoluzioni o condanne. Se non è comunque facile stabilire di chi siano le colpe, è sicuro che sono ormai indifferibili cambiamenti sostanziali e formali di questo sistema.

E tu cosa faresti per riformare la giustizia? Di la tua utilizzando lo spazio dei commenti qui sotto.


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