L'assegno di mantenimento in caso della fine di un rapporto matrimoniale viene disposto sia in caso di separazione sia in caso di divorzio

Se viene disposto in sede di separazione il giudice deve fare riferimento a quanto dispone l'art. 156 del codice civile "Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri." 

In sostanza il giudice della separazione  pone a carico di chi ha una migliore condizione economica l'obbligo di corrispondere all'altro coniuge quanto necessario per mantenere lo stesso tenore di vita goduto dorante il matrimonio.

Quando interviene poi il divorzio (e quindi la rottura definitiva del vincolo matrimonniale) il giudice determina il cosiddetto Assegno divorzile. In tal caso il giudice deve prendere in considerazione la condizione patrimoniale di entrambi i coniugi e deve accertare che il coniuge a cui beneficio viene disposto l'assegno non ha mezzi adeguati di sostentamento oppure non può procurarseli per ragioni oggettive.

Nel determinare la misura del contributo economico che un coniuge deve corrispondere all'altro il giudice deve cercare di consentire al beneficiario di mantenere un tenore di vita simile a quello goduto durante il matrimonio

. (Vedi però: Corte d'Appello di Ancona: con separazione spese aumentano. Meno soldi alla ex.)  Il tribunale fissa l'importo dell'assegno sulla base della documentazione relativa ai redditi dei coniugi e al loro patrimonio personale e comune; contestualmente ne stabilisce un criterio di adeguamento automatico, facendo riferimento agli indici Istat.

Va considerato peraltro che i provvedimenti resi dal giudice della separazione sono sempre modificabili come dispone l'articolo 710 del Codice di Procedura Civile. Basta intraprendere un procedimento in Camera di Consiglio in cui le parti possono richiedere la modifica delle disposizioni relative alla separazione divenute inadeguate o per le quali sono venuti a decadere i presupposti. Anche l'assegno divorzile può essere soggetto a modifiche.

In ogni caso l'assegno di mantenimento dell'ex-coniuge rientra tra i provvedimenti passibili di modifica ed è legata al mutamento delle condizioni economiche delle parti. Il coniuge che richiede l'adeguamento dovrà essere quindi in grado di provare l'avvenuto peggioramento delle proprie entrate o il sensibile miglioramento di quelle dell'altro. Al sopraggiungere della richiesta di adeguamento, il tribunale procede agli accertamenti relativi al tenore di vita dei coniugi e decide se e in che misura concedere la modifica dell'assegno. 

Oltre alle modifiche in termini di reddito, una delle ragioni determinanti un aumento dell'entità dell'assegno può essere la crescita dei costi relativi al mantenimento dei figli nati dal matrimonio e affidati al beneficiario. Ulteriore elemento sensibile è l'eventuale convivenza more uxorio di uno dei due ex-coniugi con una terza persona, una convivenza cioè con caratteri di stabilità e durata che ricalchi i costumi del matrimonio e che quindi può essere fonte di miglioramento del tenore di vita del convivente.

Quando tale eventualità interessa il beneficiario del mantenimento, si ha una revisione dell'assegno nel senso di una diminuzione o perfino della sua sospensione, quando la convivenza migliora il tenore di vita della parte obbligata, si determina invece un aumento dell'entità dell'assegno. 

Il coniuge tenuto alla corresponsione dell'assegno può richiedere la sua diminuzione dimostrando che l'altro coniuge lavora in nero o nel caso in cui quest'ultimo risulti perfettamente abile al lavoro, ma non sia volontariamente impegnato nella ricerca di un'occupazione. La mancata ricerca di lavoro, però, non fornisce la ragione per sottrarsi all'aumento dell'assegno qualora, durante il periodo di convivenza matrimoniale, il coniuge beneficiario fosse impegnato, con il più ampio consenso dell'altro, nell'attività di lavoro casalingo.


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