Le testimonianze rese dagli investigatori incaricati dal datore di lavoro di effettuare controlli circa la presenza della lavoratrice nel centro termale dove aveva detto di doversi recare non sono sufficienti a "sostenere l'assunto datoriale relativo alla ingiustificatezza dell'assenza della lavoratrice dal luogo di lavoro per mancata fruizione delle cure termali per le quali aveva ottenuto il permesso retribuito, e il mancato incontro della lavoratrice all'entrata od uscita dal centro non potevano costituire prova certa della mancata fruizione delle cure stesse.".

Confermando così quanto deciso dal giudice territoriale, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 1329 del 21 gennaio 2013, ha affermato che "ferma la validità del principio invocato dal datore di lavoro, relativo alla legittimità del controllo da parte di terzi della condotta del lavoratore al di fuori dello stretto ambito lavorativo, ove lo stesso sia finalizzato alla tutela dei beni estranei al rapporto stesso, sarebbe stato onere dell'azienda dimostrare e provare la giusta causa del licenziamento anche attraverso elementi idonei a dimostrare la presenza della lavoratrice in luoghi diversi dal centro termale nei giorni delle assenze dal lavoro.".

Tanto più - proseguono i giudici di legittimità - in un'ipotesi come quella in esame, in cui la stessa lavoratrice aveva fornito supporto probatorio all'assunto della sua presenza presso il centro termale nei giorni in cui aveva fruito dei permessi retribuiti, la prova del datore di lavoro avrebbe dovuto presentarsi con caratteristiche idonee a confutare l'impianto motivazionale adottato e di valenza probatoria decisiva mentre la società ha sollecitato solo un riesame del ragionamento decisorio, prospettando una ricostruzione diversa dei medesimi fatti presi in esame dalla Corte territoriale.

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