"Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive è rimesso alla valutazione del datore di lavoro senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, espressione della libertà di inziativa econonmica tutelata dall'art. 41 Cost.

Pertanto spetta al giudice il controllo in ordine all'effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro e l'onere probatorio grava per intero sul datore di lavoro, che deve dare prova anche dell'impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte, onere che può essere assolto anche mediante il ricorso a risultanze di natura presuntiva ed indiziaria, mentre il lavoratore ha comunque un onere di deduzione e di allegazione di tale possibilità di reimpiego".

Questo il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 6 del 2 gennaio 2013, ha respinto il ricorso proposto da una società avverso la sentenza con cui i giudici di merito avevano dichiarato illegittimo il licenziamento di una dipendente per giustificato motivo oggettivo ritenendo non fornita la prova dell'impossibilità di ricollocare la lavoratrice in una delle aziende o stabilimenti della società in mansioni equivalenti.

La Società si era infatti limitata ad affermare che vi era stata una sensibile contrazione dell'organico, che non vi erano state assunzioni dopo il licenziamento della ricorrente e che la lavoratrice aveva rifiutato l'offerta di ricollocazione presso altra società del gruppo.

La Corte territoriale ha rilevato inoltre che la società non avrebbe potuto invocare a giustificazione del licenziamento il rifiuto della lavoratrice ad essere licenziata dalla società e riassunta presso altra società controllata ; tale proposta era stata rifiutata per ragioni di convenienza non sindacabili ed era comunque irrilevante essendo stata fatta un anno prima del licenziamento mentre si doveva avere riguardo al momento del licenziamento.

Nella specie, precisa la Suprema Corte, la lavoratrice ha adempiuto all'onere di deduzione ed allegazione sulla stessa gravanti e quanto all'offerta proposta alla lavoratrice di essere licenziata per essere assunta presso altra società del gruppo, la Corte ha sottolineato sia che l'offerta risaliva a circa un anno prima del licenziamento sia che alla lavoratrice, in violazione del principio di buona fede, non era stato rappresentato che la proposta di ricollocazione era in relazione alla necessità di sopprimere il suo posto di lavoro.

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