Con la sentenza n.19767/2012 la Cassazione ha chiarito che il paziente che ha subito un intervento chirurgico sbagliato, non ha diritto al risarcimento del danno da lesione della "cenestesi lavorativa" (ossia al danno che deriva dalla maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento di un'attività lavorativa pur senza una diminuzione della capacità reddituale) se non da la prova del fatto che la mancanza dell'organo erroneamente asportato abbia di fatto comportato un'eccessiva fatica e difficoltà nello svolgimento del lavoro.

In sostanza, spiega la Corte, chi intende richiedere questo tipo di danno deve fornire una prova concreta delle maggiori usura, fatica e difficoltà nello svolgimento del lavoro una volta ripreso.

Nel caso preso in esame dalla Corte si è ritenuto che nella fattispecie un semplice danno estetico all'addome e una malattia psichica con un'invalidità del 10% non possano aver reso più usurante la gestione di un negozio di capi di abbigliamento.

Corretta dunque la decisione della Corte d'appello di Palermo che nel liquidare i danni alla parte danneggiata ha ritenuto di escludere il danno da "cenestesi lavorativa".

Proprio con riferimento alla mancata liquidazione del danno della cenestesi lavorativa la Corte evidenzia che non risulta siano state provate "le maggiori usura, fatica e difficoltà nello svolgimento del lavoro", una volta ripreso.

In ogni caso, spiega la Corte, "si tratta di valutazione di puro fatto non sindacabile in sede di giudizio di legittimità".
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