
È però, ovvio, che faccia scalpore il caso del chirurgo incapace e non quello del medico che profonde impegno nel proprio lavoro. Così mi sento di segnale un caso di servizio pubblico più che ottimo, per due ordini di motivi: le persone che citerò meritano un pubblico riconoscimento e incoraggiamento; forse, se più "utenti" rendono pubblico l'impegno dei sanitari, l'esistenza di strutture se non proprio di eccellenza, quantomeno tali da garantire un serio ed onesto servizio, si potranno evitare tagli ingiusti e dannosi alle strutture e anche la politica dovrà ripensare in termini diversi la questione "sanità".
Alla veneranda età di quarantadue anni ho deciso di affrontare una (seconda) gravidanza. L'aggettivo veneranda non è usato per civetteria: effettivamente, dal primo giorno, sono stata messa in guardia sui maggiori rischi che ho corso, che corrono le mamme non giovanissime. Sono stati nove mesi di paure e apprensioni.
La mia bimba è nata a termine, con cesareo programmato (era podalica) e in ottima salute, con una pelle di pesca matura, kg 3,200 e 50 cm di lunghezza (ci credo! nove mesi di dieta rigorosa, solo cibi sanissimi, nessuna trasgressione). Il parto è stato eseguito presso l'Ospedale "SS Trinità" di Sora (FR) ed è la professionalità del personale dei reparti di ostetricia e neonatologia che intendo segnalare. La struttura è già stata oggetto di un servizio di "Striscia la notizia" per l'impianto fotovoltaico mai sfruttato come si deve. Le voci di chiusura di tutto il nosocomio o di soli alcuni reparti sono talmente ricorrenti che, ormai, i sorani non vi danno peso (continuando però in molti a "preferire" gli ospedali romani, perché ritenuti a torto più affidabili).
Sono stata accolta già prima del ricovero, per la cd. preospedalizzazione, con molta cortesia, sollecitudine e soprattutto, con tempi brevi di risposta. E non è poco, specie per chi lavora e non può concedersi il lusso delle attese.
Gli esami mancanti sono stati eseguiti tutti gratuitamente e nella stessa struttura ospedaliera. In un paio d'ore ho "fatto tutto". Pochi giorni prima della data fissata per il parto sembrava che fossero iniziate le contrazioni; sono stata trattenuta in osservazione per una notte e sono stata "coccolata" - termine quanto mai appropriato - dalle ostetriche, dall'ostetrico (c'è anche un ostetrico uomo) e da tutto il personale. Soprattutto rassicurata dal rigore e dalla professionalità profuse dal personale nell'espletamento delle proprie mansioni, con un quid pluris inaspettato di attenzioni al benessere psichico e non solo fisico delle pazienti. Pensate solo a questo: senza richiesta specifica da parte mia, non mi hanno tenuta in camera con le puerpere (è frustante per chi deve ancora aspettare) ma con altre pazienti giovani; anche il personale addetto alle pulizie si è premurato di non invadere la privacy o disturbare il sonno prima di entrare in camera. Ho poi scoperto che il personale è al minimo e anche i turni per le sale operatorie sono "risicati", che tanto dipende dalla buona volontà e dalla collaborazione degli anestesisti e dei ginecologi per poter comunque smaltire tutti gli accessi.
L'Ospedale in effetti, copre un bacino d'utenza decisamente ampio, che va da Frosinone a Cassino. Solo la mattina del 20 novembre (in cui ho partorito io) ci sono stati quattro cesarei, una decina di parti spontanei e tre interventi chirurgici del reparto di ginecologia.
Per una curiosa coincidenza, il caso della mamma che ha dovuto attendere a lungo per partorire, si è ripetuto anche per me. L'appuntamento per il ricovero mi era stato dato per le ore 7,30. Come i vecchietti in fila per la pensione, alle 7 ero già lì e comunque, abbiamo iniziato l'iter previsto. Alle otto l'ostetrica mi ha consegnato il camice e abbiamo cominciamo a scherzare mentre sganciava il letto per portarmi in sala operatoria. Ci hanno detto di aspettare e verso le nove è arrivato a prendermi anche il primario. Ma, di nuovo, ci hanno detto di aspettare. L'attesa si è prolungata fino alle 14,00. Al contrario della mamma del precedente intervento non sono stata lasciata sola nell'incertezza; nel frattempo, si sono alternate in camera mia infermiere, ostetriche e altri medici, scusandosi per il disagio e spiegando, nei limiti del possibile, quale fosse il problema (un caso imprevisto piuttosto complicato e dai risvolti anche tragici, ho saputo poi dai familiari della "urgenza"). Non credo che tanta sollecitudine sia dovuta o comunque, sia quello che succede normalmente in casi simili in altri ospedali. I ritmi di lavoro erano visibilmente convulsi, il carico di lavoro pesantissimo eppure, ripeto, il personale si è sentito in dovere di scusarsi e giustificarsi per il ritardo. È stato addirittura permesso a mio fratello (neurologo, ricercatore ma dipendente di una struttura privata) e ad una cara amica (infermiera al reparto di pediatria) di restarmi vicino in sala operatoria. Sfido chiunque a lavorare sereno con un collega esterno vicino. L'intervento è durato dieci minuti scarsi dal segnale d'inizio dell'anestesista e (dice mio fratello) condotto in maniera ineccepibile. Tant'è che il giorno dopo ero già in piedi, con dolori ragionevolmente sopportabili (grazie all'ottimo lavoro dell'anestesista, giovanissima, dai modi rassicuranti e molto comprensiva), e sono andata con le mie gambe al nido ad allattare, dove ho avuto tanto sostegno e parole di incoraggiamento. Ho visto volti tirati dalla stanchezza ma sempre sorridenti e soprattutto, non è stata lesinata assistenza, non solo medica in senso stretto ma anche sostegno umano e psicologico ad alcuna di noi ricoverate, a prescindere da provenienza, estrazione sociale e lingua. Da questa esperienza ho tratto due conclusioni. La prima è che tanta parte nei casi di malpractice medica la svolgono i pazienti. Basta un giro sui blog per rendersi conto della presunzione di tanti che credono di sapere, senza averne il diritto e la preparazione necessaria come debbano essere svolte le professioni mediche e quali siano le scelte corrette in caso di gravidanza, parto e allattamento. Immagino i commenti di tanti a fronte del ritardo e del disguido subito, alla denigrazione che avrebbero subito la struttura e i medici. Io pensavo alle udienze rinviate e alle cause non trattenute in decisione per "eccessivo carico del ruolo" e alla difficoltà di spiegare un tale fatto ai clienti; alle udienze tenute in aule sovraffollate, alla ressa per riuscire a mettere in fascicolo "in fila"; insomma, agli aspetti della mia professione che risultano di difficile comprensione per chi è, invece, abituato a vedere tutt'altra rappresentazione dei processi in tv o nelle fiction. Credo che lo stesso metro di giudizio vada applicato ai medici e comunque, ad ogni professione. Occorre maggiore rispetto e umiltà, da parte di tutti e soprattutto, da parte di chi ha potere decisionale. L'altra considerazione è quasi ovvia e scontata: la struttura andrebbe potenziata perché è oggettivamente difficile far fronte a tanto carico di lavoro mantenendo standard qualitativi alti. Allora forse, la quadratura del cerchio va cercata sotto altri aspetti. Per esempio, attraverso ulteriori interventi normativi volti a porre freno ai costi spropositati negli appalti di servizi e forniture per le aziende ospedaliere o a un ripensamento dei rapporti tra servizio pubblico e privato. Di certo va cambiato l'atteggiamento di noi utenti".
- Cara Mirella, vorrei concludere la Tua bella lettera con quel che mi riferivi su quanto avvenuto dopo il parto: "In realtà sono già tornata al lavoro (mezza giornata in ufficio, qualcosa da casa), con grande scandalo di chiunque mi incontri. La domanda più frequente è: "Ma non hai il congedo per maternità?". E la risposta mia, fissa: "Non sono un pubblico dipendente, se lavoro mangio altrimenti ...ciccia". Quant'è dura la vita delle nostre Colleghe e quale ostinazione occorre per conciliare due mestieri così duri; è per questo che i loro successi valgono di più dei nostri.
Scrivi all'Avv. Paolo Storani
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Civilista e penalista, dedito in particolare
alla materia della responsabilità civile
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