POSTA & RISPOSTA n. 360 incarna un evento specialissimo perché la mittente Mirella MARCHIONE non è soltanto un avvocato del foro di Cassino con studio a Sora (FR); inoltre, la piccina neonata Chiara non è soltanto la più giovane ... sbirciatrice delle pagine online di Studio Cataldi. Tutto comincia quando un ginecologo che abbiamo tenuto nell'anonimato mi invia una lettera davvero toccante: il resoconto sulla nascita del bambino Marco, che aprendo gli occhioni al mondo, gli ha stretto le dita della mano sinistra a mo' di ringraziamento - qua la mano! - per le traversie che i due - ginecologo e nascituro - avevano dovuto affrontare prima che Marco vedesse la luce; Mirella rimane colpita (come me, del resto) dallo scritto del ginecologo e mi scrive una lettera personale il cui senso era (semplifico e banalizzo): "sono prossima al parto, ne ho tratto un senso di protezione leggendo la condotta ostinata ed efficace di quel medico", che tra l'altro non era neppure il ginecologo di fiducia della mamma di Marco.
Si può essere in apprensione per la gravidanza di una Collega che non conosci neppure, sapendo soltanto quel che ti ha scritto in una rubrichetta di servizio? Avevo risposto a Mirella privatamente, specificandole che, visto che aveva ottima propensione per la scrittura, attendevo un suo contributo. Ora quel pezzo è arrivato, Chiara è nata ed io sono felice di condividere con i lettori di Studio Cataldi l'arrivo sulla terra di questo meraviglioso esserino che, in un fotogramma assai gradito, vedo ritratto in braccio al fratello più grande. "Torno sulla bella lettera del medico al bimbo che non volevano far nascere, pubblicata il 31.10.12. Il tema è quanto mai attuale: penso al recente intervento del Presidente Napolitano sulla sanità pubblica, alle contestazioni ai tagli previsti, specie nella Regione Lazio. Quanto sono realmente necessari o, comunque, ragionevolmente mirati i tagli previsti dalla spending review e quanto rilievo hanno i casi di malpractice medica sulla percezione che si ha della sanità pubblica? I casi di danni ai pazienti e di pessima gestione del servizio sanitario nazionale sono talmente numerosi da diventare, innegabilmente, un nuovo campo di lavoro, evidentemente redditizio, per noi avvocati.
È però, ovvio, che faccia scalpore il caso del chirurgo incapace e non quello del medico che profonde impegno nel proprio lavoro. Così mi sento di segnale un caso di servizio pubblico più che ottimo, per due ordini di motivi: le persone che citerò meritano un pubblico riconoscimento e incoraggiamento; forse, se più "utenti" rendono pubblico l'impegno dei sanitari, l'esistenza di strutture se non proprio di eccellenza, quantomeno tali da garantire un serio ed onesto servizio, si potranno evitare tagli ingiusti e dannosi alle strutture e anche la politica dovrà ripensare in termini diversi la questione "sanità".
Alla veneranda età di quarantadue anni ho deciso di affrontare una (seconda) gravidanza. L'aggettivo veneranda non è usato per civetteria: effettivamente, dal primo giorno, sono stata messa in guardia sui maggiori rischi che ho corso, che corrono le mamme non giovanissime. Sono stati nove mesi di paure e apprensioni.
La mia bimba è nata a termine, con cesareo programmato (era podalica) e in ottima salute, con una pelle di pesca matura, kg 3,200 e 50 cm di lunghezza (ci credo! nove mesi di dieta rigorosa, solo cibi sanissimi, nessuna trasgressione). Il parto è stato eseguito presso l'Ospedale "SS Trinità" di Sora (FR) ed è la professionalità del personale dei reparti di ostetricia e neonatologia che intendo segnalare. La struttura è già stata oggetto di un servizio di "Striscia la notizia" per l'impianto fotovoltaico mai sfruttato come si deve. Le voci di chiusura di tutto il nosocomio o di soli alcuni reparti sono talmente ricorrenti che, ormai, i sorani non vi danno peso (continuando però in molti a "preferire" gli ospedali romani, perché ritenuti a torto più affidabili).
Sono stata accolta già prima del ricovero, per la cd. preospedalizzazione, con molta cortesia, sollecitudine e soprattutto, con tempi brevi di risposta. E non è poco, specie per chi lavora e non può concedersi il lusso delle attese.
Gli esami mancanti sono stati eseguiti tutti gratuitamente e nella stessa struttura ospedaliera. In un paio d'ore ho "fatto tutto". Pochi giorni prima della data fissata per il parto sembrava che fossero iniziate le contrazioni; sono stata trattenuta in osservazione per una notte e sono stata "coccolata" - termine quanto mai appropriato - dalle ostetriche, dall'ostetrico (c'è anche un ostetrico uomo) e da tutto il personale. Soprattutto rassicurata dal rigore e dalla professionalità profuse dal personale nell'espletamento delle proprie mansioni, con un quid pluris inaspettato di attenzioni al benessere psichico e non solo fisico delle pazienti. Pensate solo a questo: senza richiesta specifica da parte mia, non mi hanno tenuta in camera con le puerpere (è frustante per chi deve ancora aspettare) ma con altre pazienti giovani; anche il personale addetto alle pulizie si è premurato di non invadere la privacy o disturbare il sonno prima di entrare in camera. Ho poi scoperto che il personale è al minimo e anche i turni per le sale operatorie sono "risicati", che tanto dipende dalla buona volontà e dalla collaborazione degli anestesisti e dei ginecologi per poter comunque smaltire tutti gli accessi.
L'Ospedale in effetti, copre un bacino d'utenza decisamente ampio, che va da Frosinone a Cassino. Solo la mattina del 20 novembre (in cui ho partorito io) ci sono stati quattro cesarei, una decina di parti spontanei e tre interventi chirurgici del reparto di ginecologia.
Per una curiosa coincidenza, il caso della mamma che ha dovuto attendere a lungo per partorire, si è ripetuto anche per me. L'appuntamento per il ricovero mi era stato dato per le ore 7,30. Come i vecchietti in fila per la pensione, alle 7 ero già lì e comunque, abbiamo iniziato l'iter previsto. Alle otto l'ostetrica mi ha consegnato il camice e abbiamo cominciamo a scherzare mentre sganciava il letto per portarmi in sala operatoria. Ci hanno detto di aspettare e verso le nove è arrivato a prendermi anche il primario. Ma, di nuovo, ci hanno detto di aspettare. L'attesa si è prolungata fino alle 14,00. Al contrario della mamma del precedente intervento non sono stata lasciata sola nell'incertezza; nel frattempo, si sono alternate in camera mia infermiere, ostetriche e altri medici, scusandosi per il disagio e spiegando, nei limiti del possibile, quale fosse il problema (un caso imprevisto piuttosto complicato e dai risvolti anche tragici, ho saputo poi dai familiari della "urgenza"). Non credo che tanta sollecitudine sia dovuta o comunque, sia quello che succede normalmente in casi simili in altri ospedali. I ritmi di lavoro erano visibilmente convulsi, il carico di lavoro pesantissimo eppure, ripeto, il personale si è sentito in dovere di scusarsi e giustificarsi per il ritardo. È stato addirittura permesso a mio fratello (neurologo, ricercatore ma dipendente di una struttura privata) e ad una cara amica (infermiera al reparto di pediatria) di restarmi vicino in sala operatoria. Sfido chiunque a lavorare sereno con un collega esterno vicino. L'intervento è durato dieci minuti scarsi dal segnale d'inizio dell'anestesista e (dice mio fratello) condotto in maniera ineccepibile. Tant'è che il giorno dopo ero già in piedi, con dolori ragionevolmente sopportabili (grazie all'ottimo lavoro dell'anestesista, giovanissima, dai modi rassicuranti e molto comprensiva), e sono andata con le mie gambe al nido ad allattare, dove ho avuto tanto sostegno e parole di incoraggiamento. Ho visto volti tirati dalla stanchezza ma sempre sorridenti e soprattutto, non è stata lesinata assistenza, non solo medica in senso stretto ma anche sostegno umano e psicologico ad alcuna di noi ricoverate, a prescindere da provenienza, estrazione sociale e lingua. Da questa esperienza ho tratto due conclusioni. La prima è che tanta parte nei casi di malpractice medica la svolgono i pazienti. Basta un giro sui blog per rendersi conto della presunzione di tanti che credono di sapere, senza averne il diritto e la preparazione necessaria come debbano essere svolte le professioni mediche e quali siano le scelte corrette in caso di gravidanza, parto e allattamento. Immagino i commenti di tanti a fronte del ritardo e del disguido subito, alla denigrazione che avrebbero subito la struttura e i medici. Io pensavo alle udienze rinviate e alle cause non trattenute in decisione per "eccessivo carico del ruolo" e alla difficoltà di spiegare un tale fatto ai clienti; alle udienze tenute in aule sovraffollate, alla ressa per riuscire a mettere in fascicolo "in fila"; insomma, agli aspetti della mia professione che risultano di difficile comprensione per chi è, invece, abituato a vedere tutt'altra rappresentazione dei processi in tv o nelle fiction. Credo che lo stesso metro di giudizio vada applicato ai medici e comunque, ad ogni professione. Occorre maggiore rispetto e umiltà, da parte di tutti e soprattutto, da parte di chi ha potere decisionale. L'altra considerazione è quasi ovvia e scontata: la struttura andrebbe potenziata perché è oggettivamente difficile far fronte a tanto carico di lavoro mantenendo standard qualitativi alti. Allora forse, la quadratura del cerchio va cercata sotto altri aspetti. Per esempio, attraverso ulteriori interventi normativi volti a porre freno ai costi spropositati negli appalti di servizi e forniture per le aziende ospedaliere o a un ripensamento dei rapporti tra servizio pubblico e privato. Di certo va cambiato l'atteggiamento di noi utenti".
- Cara Mirella, vorrei concludere la Tua bella lettera con quel che mi riferivi su quanto avvenuto dopo il parto: "In realtà sono già tornata al lavoro (mezza giornata in ufficio, qualcosa da casa), con grande scandalo di chiunque mi incontri. La domanda più frequente è: "Ma non hai il congedo per maternità?". E la risposta mia, fissa: "Non sono un pubblico dipendente, se lavoro mangio altrimenti ...ciccia". Quant'è dura la vita delle nostre Colleghe e quale ostinazione occorre per conciliare due mestieri così duri; è per questo che i loro successi valgono di più dei nostri.
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