Nelle settimane scorse è stato reso noto il dispositivo della sentenza sulla legittimità costituzionale del d.lgs 4 marzo 2010 numero 28, ovvero sulla obbligatorietà della mediazione civile. La Corte Costituzionale in esso riconosceva l'illegittimità dell' articolo 5 della legge con la conseguente eliminazione dal nostro ordinamento di tale obbligatorietà.

A seguito della sentenza si è tentato di reinserire l'obbligatorietà nel decreto sviluppo attraverso emendamenti che volevano far rivivere nel nostro diritto l'istituto della mediazione obbligatoria. Chi aveva proposto l'emendamento affermava che la decisione della Corte Cotituzionale era motivata essenzialmente da un eccesso di delega e dunque da un vizio solo formale a cui era possibile porre rimedio.

Inizialmente la Corte Costituzionale aveva reso noto attraverso un comunicato stampa il solo contenuto del dispositivo ma la Consulta ha reso disponibile la sentenza per esteso (la n.272/2012).

Tutto in effetti ruota intorno alla problematica dell'eccesso di delega dato che l'articolo 76 della Costituzione
prevede che il Governo possa emanare atti aventi valore di legge su delega ma con determinazione dei principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e oggetti definiti. Di conseguenza siccome la legge di delega (articolo 60 della legge 69 del 2009) non prevedeva l'obbligatorietà della mediazione civile, la parte del decreto che la contiene è illegittima.

La Corte nella sentenza prende anche in esame altre problematiche sollevate dal Ministro della Giustizia e dal Ministro per lo sviluppo economico che sostenevano tra le altre cose la legittimità dell'articolo 5 come norma che attuava direttive comunitarie e tra queste la direttiva 2008/52/CE, dove si faceva riferimento espresso a forme di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale per rendere più agevole il lavoro dei tribunali, alla sola condizione che non costituiscano un limite all'accesso alla giustizia.

Secondo la Corte Costituzionale, però, vi è una neutralità della direttiva rispetto alla forme che gli Stati Membri vogliono dare alle procedure previste per la risoluzione stragiudiziale delle controversie e quindi, l'attuazione della direttiva non richiede l'obbligatorietà della mediazione civile, bastando dunque la facoltatività della stessa o la previsione di incentivi. Di conseguenza non vi è alcuna preferenza nell'ambito del diritto comunitario per la obbligatorietà della risoluzione stragiudiziale delle controversie, ma viene lasciato agli Stati membri il compito di stabilire le forme più idonee.

Andando oltre il diritto comunitario, la Corte Costituzionale richiama poi la sentenza 276 del 2000 (portata dalle parti come precedente) che riconosce la legittimità della obbligatorietà della mediazione nelle controversie in materia di lavoro nella Pubblica Amministrazione, ma in quel caso ad avviso della Corte erano stati rispettati i limiti della legge di delega.

Nella parte motiva la Consulta fa anche notare che l'obbligatorietà della mediazione civile, con la conseguente improcedibilità dell'azione giudiziaria nel caso in cui non sia stata esperita, non può essere considerato un fatto marginale o secondario e quindi l'assenza di tali previsioni nella delega sta a significare una non volontà del legislatore di inserire tale obbligatorietà. In altri termini se il Legislatore avesse voluto una riforma così radicale lo avrebbe espressamente statuito nell'articolo 60 della legge 69 del 2009 (legge di delega).

Venuta meno l'obbligatorietà della mediazione, vengono meno anche l'improcedibilità dell'azione e l'obbligo per l'avvocato di informare il cliente della necessità di mettere in atto prima la procedura stragiudiziale, perché colpite dal vizio di eccesso di delega ex articolo 76 e 77 della Costituzione.

Tutti gli altri motivi restano assorbiti. Inammissibile invece la questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice di Recco in relazione alla presunta violazione degli articoli 3 della Costituzione (principio di uguaglianza di fronte alla legge), dell'articolo 24 (diritto di agire in giudizio per la tutela di diritti e interessi legittimi e strumenti di tutela per i non abbienti) e articolo 111 (principi sul giusto processo).

Partendo dal presupposto che la sentenza numero 67 del 2 novembre 1960 stabilisce che lo Stato non può pretendere somme di denaro per l'esercizio della funzione giurisdizionale, il ricorrente aveva rilevato una violazione del diritto all'accesso alla giustizia reso oneroso dal dover fare riferimento obbligatoriamente a istituti di mediazione privati e quindi a carico delle parti.
Qui di seguito il testo integrale della sentenza.
Vai al testo della sentenza della Corte Costituzionale 272/2012

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