
Va premesso che se il leso muore prima che gli sia stato liquidato il risarcimento, la durata della vita è nota; non costituisce più, quindi, un dato presunto sulla scorta della mortalità media della popolazione, bensì un elemento reale.
Orbene, il giudice, nella aestimatio del pregiudizio dovrà tenere conto non della esistenza media futura presumibile, bensì della concreta vita vissuta dalla vittima del sinistro stradale; del resto, nella stima del danno biologico/permanente il fattore tempo riveste importanza essenziale; in effetti, è possibile sapere per quanto tempo, esattamente, il danneggiato ha dovuto convivere con la menomazione. Talché, il giudice deve personalizzare il punto percentuale d'invalidità per adeguarlo da quello fissato in astratto in relazione all'età anagrafica (probabilità di vita) a quello che in concreto deve essere corrisposto dal responsabile e dal suo assicuratore per la rca.
la morte della vittima per cause indipendenti dalla lesione originaria incide sulla valutazione del danno biologico futuro, ch'è tale nella sua integrità fino al tempo del decesso, come debito di valore; la riduzione, pertanto, non opera sulla determinazione del danno biologico statico (consolidamento dei postumi permanenti al tempo della vita e riconoscimento dell'invalidità) ma soltanto sulla determinazione del danno biologico globale considerato ai valori attuali al tempo della decisione (di primo grado o di appello ove sia in discussione la determinazione del danno in tale grado) in relazione all'estinzione del danno futuro. Tale pronuncia è molto famosa perché è successiva alle note quattro sentenze gemelle di San Martino 2008 n. 26972 e seguenti e si muove in controtendenza in ordine all'autonomia del danno morale rispetto al danno biologico. Le Sezioni Unite affermarono il principio dell'unitarietà del danno non patrimoniale; hanno negato valenza autonoma al danno morale relegandolo al rango di sottocategoria.
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Civilista e penalista, dedito in particolare
alla materia della responsabilità civile
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