L'ordinamento forense in Italia è strutturato secondo canoni gerarchici ben precisi: ai Consigli dell'Ordine territoriali sono affidati compiti operativi e di controllo circa l'attività professionale svolta dagli iscritti all'albo nazionale forense, mentre il Consiglio Nazionale Forense rappresenta in modo unitario l'intera categoria, approva emendamenti al Codice deontologico e funge da "giudice d'appello" nelle impugnazioni di sanzioni disciplinari stabilite dagli Ordini territoriali. La fonte normativa primaria dell'intero sistema di tutele è il Regio Decreto 1578/1933, successivamente modificato in più occasioni, la più recente delle quali è il Decreto Legge 138/2011, convertito in Legge 148/2011, meglio nota come Legge di riforma degli ordinamenti professionali.

Al Consiglio Nazionale Forense sono attribuiti ampi poteri decisionali nonché l'onere di applicare il Codice deontologico forense all'intera categoria. Tale Codice quale contiene norme e principi comportamentali che avvocati e praticanti iscritti al Registro praticanti avvocati hanno l'onere di rispettare. Per ciascuna regola comportamentale il Codice prevede determinate sanzioni disciplinari applicabili in casi specifici di trasgressione. Occorre tenere ben presente l'ambito di operatività della sanzione disciplinare, la quale gode di perfetta autonomia rispetto a fatti qualificati come illeciti da altri rami dell'ordinamento italiano: se ad esempio un comportamento tenuto da un legale può di fatto integrare un illecito disciplinare, può darsi che lo stesso fatto non sia considerato illecito sul piano civile o penale, e viceversa.

Una delle sanzioni disciplinari previste dal Codice - la più aspra - consiste nella radiazione del professionista dall'albo degli avvocati: si tratta di una misura molto grave adottata in casi ben precisi che comportano un'indubbia gravissima ripercussione dell'azione illecita sul piano professionale e sociale. La radiazione consiste nella cancellazione del professionista dall'albo per un periodo di tempo illimitato. Essa tuttavia può non essere perpetua poiché al professionista viene lasciata la possibilità, a determinate condizioni, di richiedere o la riabilitazione (se la sanzione disciplinare è stata irrogata a seguito di sentenza penale di condanna) oppure una nuova iscrizione all'albo, a patto che siano trascorsi almeno cinque anni dall'evento.

In una recente sentenza

della Cassazione a Sezioni Unite, la 18701/2012, giudice di ultimo grado in caso di ricorso del professionista promosso avverso la sentenza di condanna del Consiglio Nazionale Forense, la Corte ha ritenuto congruo irrogare la sanzione disciplinare della radiazione nei confronti di un legale colpevole di aver sottratto dalla Cancelleria di Tribunale un atto giudiziario alterandone il contenuto. Essa ha ritenuto opportuno confermare l'orientamento già espresso dal Consiglio Nazionale Forense "in relazione ai principi supremi della giustizia e lealtà processuale, alla dignità, prestigio e decoro della stessa professionista, della collega coinvolta nella produzione in giudizio della sentenza falsa, alla lealtà dovuta nei confronti degli altri professionisti".Ben chiaro da questo enunciato il rilievo strettamente sociale che nel nostro Paese riveste la figura dell'avvocato, ruolo che va ben oltre il puro aspetto professionale, ma che investe in pieno anche la sfera personale dell'individuo.

Va sottolineato tuttavia come la Corte, nel giungere alla propria decisione, abbia fondato il proprio ragionamento su norme e beni tutelati dall'ordinamento penale, lasciando al CNF di indagare in merito alla proporzionalità della sanzione disciplinare effettivamente irrogata.

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