Dopo il super-scandalo che ha sconquassato l'intero sistema politico della Regione Lazio, con tanto di dimissioni sottoscritte (ma non ancora depositate, ndr) dalla governatrice Renata Polverini, ecco che le Regioni hanno optato per una sorta di auto-epurazione.

A farsi porta-bandiera di cotal gesto è stato Roberto Formigoni, da tempo anche lui nel mirino per "conti-che-non-tornano" e spese molto poco ecumeniche. Il presidente della Regione Lombardia, in occasione della Conferenza delle Regioni, ha presentato a Palazzo Chigi una proposta per ridurre e riorganizzare i consigli regionali. In realtà il virtuoso disegno è ripreso da un decreto legge

che giace depositato, e mai attuato, dal lontano agosto 2011(dl 138/2011), varato all'epoca dallo stesso Berlusconi. Finito nel dimenticatoio, tra le tante promesse mancate e le buone intenzioni sprecate. Eppure ci avrebbe potuto risparmiare la bella farsa, a nostre care spese, del consiglio laziale. Il decreto prevede già un taglio nel numero dei consiglieri, che ci priverebbe così di 300 consiglieri. Precisiamolo subito, per non creare false illusioni: non da adesso ma dalla prossima legislatura (indi Minetti resta, ndr).

Fissando dei tetti massimi di poltrone, si eviterebbe che ogni singola regione possa decidere da sé e avere casi, al limite del paradossale, di regioni con 1 consigliere ogni 3.618 cittadini come in Val D'Aosta, contro l'uno ogni 122 mila della Lombardia. Per rendere ancor più l'idea dello sbilancio si può anche tradurre in 27,3 consiglieri ogni 100 mila abitanti in Valle contro gli 0,8 ogni 100 mila della Lombardia. Uno speco contenibile con l'applicazione della legge; si avrebbero infatti 80 poltrone per le regioni con più di 9 milioni di abitanti (solo la Lombardia al momento), 70 per quelle con 8 milioni di abitanti, e giù sino ad arrivare a 20 poltrone per le regioni con meno di un milione di abitanti.

Ad aggiungere un po' di pepe alla legge berlusconiana sarebbe la richiesta di rendere pubblici i movimenti di questi denari, perché no anche in rete, e l'obbligo di introdurre delle sanzioni, che penalizzino le regioni che non applicano il decreto. Il problema sta nel fatto che il Governo

non può sanzionare direttamente le Regioni, ledendone così l'autonomia; ma quei geniacci della Confederazione hanno già pensato a come raggirare l'ostacolo: destinare meno fondi a chi non segue le regole. Stesso risultato con formula leggermente diversa. Lo strapotere regionale, ricordiamolo, risale al 2001, quando Amato varò la cosiddetta Riforma federalista, dando alle Regioni competenza legislativa, addirittura concorrente alla UE per quanto riguarda commercio con l'estero, sanità, trasporti, distribuzione di energia.

In attesa che questo decreto abbia (il buon gusto) di essere varato, si spera anche che presto si possano approvare decreti che uniformino i rimborsi dovuti a ciascun gruppo consigliare, al momento auto-gestiti dalle regioni.

Oltre magari rivedere il concetto di gruppo, quando questo è formato da un unico esponente (che non deve nemmeno far fatica a spartire la torta con altri). E che possibilmente il controllo sia esterno e realmente estraneo, perché chi fa da sé... purtroppo finisce quasi sempre a mangiare per tre!

Barbara LG Sordi
Email barbaralgsordi@gmail.it

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