Il 20 di luglio resterà una data memorabile per i pasionari della politica italiana, capitanati in prima linea da Niki Vendola e l'immancabile compagno di avventure, Antonio Di Pietro. Con scorno di molti "liberalizzatori" accaniti, è stata infatti annullata dalla Corte Costituzionale la norma sulle privatizzazioni di servizi pubblici locali, accogliendo così la denuncia di ben sei Regioni. Ebbene sì, la norma varata con il decreto della finanziaria bis 2011 non aveva tenuto conto di un particolare, né piccolo né irrisorio: un referendum popolare che lo stesso anno aveva popolarmente rigettato la proposta di privatizzare tutto il privatizzabile pubblico, acqua inclusa. La vox populi fu quasi unanime (95%) così che scomparve una norma, la "Ronchi", del 2007 che prevedeva suddette privatizzazioni. Che Berlusconi e compagnia si fossero totalmente scordati di un referendum di qualche mese prima par proprio strano. Ma si sa, con così tanti problemi che già intristivano le un tempo spensierate feste cavalleresche, come rammentarsi di un referendum costato qualche milioncino di euro ai contribuenti? Vige sempre la regola che se i soldi non escono dalle proprie tasche, la memoria diventa assai corta!

La finanziaria dunque riproponeva la ratio di una norma già abrogata, indi per cui non poteva avere alcun valore per la legge stessa. Ma siccome in Italia il motto "fatta una legge fatto un ladro(ne)" va sempre per la maggiore ecco che l'ex Governo
aveva proseguito per la sua strada. In realtà si era cercato di raggirare l'abrogazione non includendo l'acqua nel papabile e privatizzabile, sperando così di chetare gli animi rivoluzionari. Monti stesso, forse, non si rammentava del veto popolare ed ha fatto delle liberalizzazioni il punto di forza della ripresa economica italiana. E in questo caso rimarchiamo, in sua difesa ( lo spara-addosso-a-Monti sarà anche lo sport più in voga in questo momento, ma a noi non interessa), che la normativa della Comunità Europea legittima le privatizzazioni di beni o enti pubblici, mettendo dei paletti un po' più ristretti rispetto a quelli previsti dai decreti in questione. Privatizzazioni solo a società in house, cioè controllate da società pubbliche, e non quindi in vendita
sul principio del maggior offerente. Postille che non ci sono mai piaciute e che per questo abbiamo tentato, invano, di aggirare. Innanzitutto concedendo la possibilità di acquisto anche da parte di società private purché rispettose del pubblico interesse (ahi!); oltre a prevedere la possibilità di affidamenti diretti solo a società con capitale di almeno 900mila euro, abbassato poi a 200mila (a ri-ahi!).

Ai nostri giustizieri regionali tutte queste irregolarità non sono sfuggite, così come a Giuseppe Tresauro, membro della Consulta, nonché ex- Antitrust, attento e ligio al rispetto delle norme. E pazienza se in molti liberal si sono indignati (vedi la deputata Linda Lanzilotta del gruppo misto), vedendo in questa decisione un freno allo sviluppo economico.

In fondo 26 milioni di voti a sfavore cosa volete che siano?
Barbara LG Sordi
Email barbaralgsordi@gmail.it

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