"In caso di inadempimento del datore di lavoro all'obbligo, contrattualmente assunto, di fornitura ai dipendenti di "vestiario uniforme", ove il dipendente, al fine di adempiere alla propria obbligazione di indossare in servizio abili "uniformi", sia conseguentemente costretto ad acquistare a proprie spese abiti che, per tipo e foggia, diversamente non avrebbe acquistato, il datore di lavoro è tenuto, in base alla disciplina generale di cui agli artt. 1218 e ss. cod. civ., a risarcirgli il danno rappresentato dal costo aggiuntivo incontrato per detto acquisto, giacché trattasi di perdita patrimoniale causalmente riconducibile in modo immediato e diretto all'inadempimento
, secondo regole di normalità e tenuto conto del principio, desumibile dall'art. 1225 cod. civ., relativo al giudizio ipotetico di differenza tra la situazione quale sarebbe stata senza il verificarsi del fatto dannoso-inadempimento e quella effettivamente avvenuta". E' quanto ribadito dalla Corte di Cassazione, che con sentenza n. 8531 del 29 maggio 2012, ha accolto il ricorso proposto da alcuni lavoratori contro la sentenza con cui il Giudice d'Appello aveva affermato che la mancata messa a disposizione degli abiti da parte del datore di lavoro non integrava di per sé, una condotta generatrice di danno, e, in particolare, di un danno patrimoniale corrispondente a quella quota del valore degli abiti prevista quale facente capo all'azienda, trattandosi di obbligazione assunta - e relativo esborso, ove sostenuto - nell'esclusivo interesse della stessa datrice di lavoro. La Suprema Corte ha sottolineato che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di Appello, i ricorrenti, sin dall'atto introduttivo del giudizio, avevano dedotto a prova il fatto di aver proceduto, nel periodo considerato, all'acquisito di vestiario similare a quello uniforme e avevano altresì allegato copia di un foglio di punizione, nei confronti di un dipendente appartenente allo stesso impianto dei ricorrenti, dal quale si evinceva la circostanza che coloro che non erano adeguatamente vestiti, venivano richiamati; ciò a riprova della sussistenza in capo ai ricorrenti dell'obbligo di indossare il vestiario -uniforme (pena conseguenze di carattere disciplinare), del loro conseguente interesse e diritto alla fornitura promessa, del fatto che l'Azienda non fosse indifferente a come i suoi dipendenti si vestissero, del fatto che esistesse un'imposizione aziendale, pretendendo l'Azienda che venisse indossata una certa divisa similare a quella che avrebbe dovuto fornire, pur ritenendosi, tuttavia, libera di non adempiere alle obbligazioni assunte in sede sindacale di fornitura degli abiti da lavoro da utilizzare nello svolgimento dell'attività lavorativa. Da tale documentata prospettazione - si legge nella sentenza - consegue che non appare corretto l'assunto della Corte d'appello che i ricorsi difettassero di qualsiasi allegazione che consentisse di far ritenere sussistente un'imposizione aziendale di indossare uno specifico abbigliamento; per i giudici di legittimità, sulla base delle considerazioni svolte, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio, per il riesame.

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