Sulla Gazzetta Ufficiale n. 195 del 23 agosto scorso è pubblicata la legge 11 agosto, 2003, n. 228, recante "Misure contro la tratta di persone". E' un testo assai snello di 16 articoli, ma di contenuto alquanto forte e determinato, scaturito da una originaria proposta di legge parlamentare presentata alla Camera dei deputati circa 2 anni fa, e fusasi, in seconda lettura, con un disegno di legge governativo di analogo contenuto. Data l'importanza della materia e la non piena confluenza di vedute fra le varie forze politiche, almeno all'inizio, il provvedimento ha avuto bisogno di ben quattro letture complessive e, come dicevo, di due anni pieni di lavorazione, prima del varo definitivo. Ratio della nuova legge è stabilire pene certe, sicure e gravi contro il fenomeno delle "nuove schiavitù" - termine che vuole indicare il perpetuarsi di un fenomeno antico e inconcepibile con la libertà e la democrazia - e che nei tempi moderni si chiamano prostituzione, tratta degli esseri umani, sfruttamento dei minori, accattonaggio, attività che sono strettamente collegate al proliferare della criminalità organizzata e delle "nuove mafie", costituendone la linfa finanziaria
vitale. Ma lo scopo della normativa è altresì quello di provvedere al reintegro, al recupero e al reinserimento sociale delle vittime di queste pratiche infamanti, attraverso misure concrete ed efficaci che traducano in fatti significativi le buone intenzioni che ogni società liberale e democratica esprime nei suoi principi ispiratori. Proprio questo è il punto di partenza scelto per esaminare il provvedimento, perché questo aspetto, forse perché confinato negli ultimi articoli, spesso è stato sottovalutato per dare il primato alle modifiche al codice penale e di procedura penale contenute nei primi articoli, e che inaspriscono pesantemente le pene esistenti e vanno a colpire direttamente e specificatamente forme di illegalità che troppo spesso nel passato riuscivano ad insinuarsi nelle più tolleranti maglie giudiziarie dell'analogia giuridica. L'articolo 12 della nuova legge istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri un fondo per le misure anti tratta, destinato al finanziamento dei programmi di assistenza e di integrazione sociale in favore delle vittime, nonché di altre iniziative di protezione sociale. E' interessante la disposizione, contenuta nel comma 3, per cui tale fondo è alimentato, altresì, dai proventi della confisca ordinata a seguito di sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per uno dei delitti che proprio questa legge va a colpire, ossia la riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, la tratta di persone, l'acquisto o l'alienazione di schiavi, e l'associazione a delinquere costituita a tali specifici fini. E' l'antica, ma quanto mai moderna, applicazione della legge del contrappasso, che, come in altre ipotesi (mafia, racket, usura, e, prossimamente, vittime appartenenti alle forze dell'ordine) con i proventi confiscati ai carnefici finanzia le vittime dirette e indirette che, così, possono avere un risarcimento diretto, materiale ancorché morale, nei confronti dei loro persecutori. L'articolo 13 prevede l'istituzione di uno speciale programma di assistenza per le vittime dei reati contemplati dalla presente legge. Tale programma dovrà garantire adeguate condizioni di alloggio, vitto e assistenza sanitaria e si pone come ulteriore garanzia accanto a quelle già previste dalla nuova legge sull'immigrazione e dalla normativa a protezione dei collaboratori di giustizia. L'articolo 14, infine, al fine di rafforzare l'efficacia dell'azione di prevenzione nei confronti dei reati di riduzione o mantenimento in schiavitù, o in servitù, e dei reati collegati all atratta di persone, attribuisce al Ministero degli Affari Esteri il compito di definire le politiche di cooperazione nei confronti dei Paesi interessati dai predetti reati sulla base della loro effettiva collaborazione nella lotta contro i reati medesimi. A tal fine si prevedono frequenti contatti fra il Governo italiano e i Governi stranieri da tale tematica interessati. Il corpo principale della legge, come accennato, consiste nella modifica degli articoli 600, 601 e 602 del codice penale, concernenti rispettivamente i reati di "riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù", la "tratta di persone" e l'"acquisto e alienazione di schiavi", per i quali vengono sensibilmente aumentate le pene, arrivando fino ad un massimo di venti anni. Parallelamente, viene modificato anche l'articolo 416 del codice penale, concernente l'"associazione per delinquere", nel quale viene introdotto un nuovo comma, il quinto, il quale prevede che se l'associazione è diretta a compiere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602 prima menzionati, la reclusione applicata è da 5 a 15 anni per i promotori e gli organizzatori, da 4 a 9 anni per i meri partecipanti: una pena più che raddoppiata rispetto alle ipotesi generiche, a testimonianza della pericolosità e della riprovazione sociale dei delitti summenzionati. Ulteriori disposizioni sono previste a modificazione di precedenti normative, al fine di aggravarne la parte sanzionatoria, sempre in considerazione della speciale negatività promanante dalla commissione di tali delitti. In particolare vengono modificati l'articolo 25-quater del decreto legislativo n. 231 del 2001 riguardante le sanzioni amministrative nei confronti di persone giuridiche, società e associazioni per delitti contro la personalità individuale e le leggi n. 575 del 1965, n. 55 del 1990 e D.L. n. 306 del 1992 in materia di criminalità mafiosa. Sono infine adeguate, attesa la rilevanza e la pericolosità dei reati, le disposizioni processuali, le regole inerenti le intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni e l'attività sotto copertura compiute al fine di perseguire i responsabili.
( L. 11/08/2003 , n. 228 , G.U. , 23/08/2003 , n. 195 )

(News pubblicata su autorizzazione di www.leggiditalia.it)

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