La Cassazione dice stop alle foto che ritraggono i volti di mendicanti. Secondo gli Ermellini c'è un'oggettiva valenza diffamatoria nella pubblicazione di uno scatto che ritrae chi sta chiedendo la carità. La decisione è della quinta sezione penale della Corte (sentenza n. - 3721/2012)che nella parte motiva della sentenza spiega come "la coscienza comune pone questi soggetti in uno dei gradini piu' bassi della cosiddetta scala sociale ed e' allora naturale che chi sia costretto dalla necessita' a praticare la mendicita' e venga additato come tale si sentira' mortificato e gravemente ferito nella sua onorabilita'". Nessuno nega che sia lecito denunciare il dilagare del fenomeno ma, in un servizio giornalistico, è necessario "coprire i volti delle persone coinvolte in fenomeni sui quali grava un pesante giudizio negativo della collettivita'". Il caso, finito nelle aule la Suprema Corte, ha avuto origine dalla querela
sporta da una donna la cui foto è stata pubblicata a corredo di un articolo di giornale in cui venivano riportate reazioni e commenti di cittadini durante una tavola rotonda sul pacchetto sicurezza e sull'istituzione delle ronde. Nel servizio giornalistico la foto della donna era accompagnata dalla didascalia 'una questuante all'opera nel centro storico di Trento'. Inizialmente il Gip aveva dichiarato il non luogo a procedere perché "il fatto non sussiste" nei confronti del direttore dell'autore dell'articolo ritenendo che il servizio non fosse diffamatorio e che le foto fossero piuttosto dirette a scoraggiare fenomeni come l'accattonaggio.
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