Con sentenza 22882, depositata il 4 novembre 2011, la Corte di Cassazione, in tema di giudizio disciplinare per prestazioni di mediazione rese dell'avvocato in conflitto di interessi, ha stabilito che la condotta contraria alle norme deontologiche addebitata all'avvocato che fa da mediatore in una trattativa fra il cliente e una società riconducibile a un proprio stretto congiunto, rende legittima la sospensione per cinque mesi dall'esercizio della professione, a nulla rilevando che il potenziale conflitto d'interessi nell'ambito del quale la prestazione è stata resa non si sia risolto in un effettivo pregiudizio a carico dell'assistito: detto illecito disciplinare, infatti, è di pericolo e non di danno né la sussistenza di un procedimento penale a carico del professionista impone di per sé la sospensione di quello disciplinare senza la prova che i due giudizi vertano sugli stessi fatti. Secondo il giudizio delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione che hanno risolto il contrasto giurisprudenziale meno di quattro pagine di motivazione, il danno effettivo al cliente non è un elemento necessario per il costituirsi dell'illecito disciplinare accertato in quanto l'illecito si integra con il verificarsi della situazione che mette a rischio il rapporto fiduciario tra avvocato e cliente. La ratio della norma in questione, l'art. 37 del Codice deontologico forense
, è quella di evitare situazioni che possano far dubitare della correttezza dell'operato dell'avvocato e, quindi, perché si verifichi l'illecito, è sufficiente che l'opera dell'avvocato sia stata solo potenzialmente condizionata dai rapporti con la controparte, come nel caso di specie che ha per oggetto una società riconducibile alla moglie e alla suocera dell'avvocato .
Consulta testo sentenza n. 22882/2011

Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: