Con la sentenza n. 23698, depositata l'11 novembre 2011, la Corte di Cassazione ha stabilito che è responsabile di negligenza il personale dell'autolavaggio che, dopo aver lavato e asciugato l'autovettura di un cliente, la parcheggia con le chiavi inserite all'interno facilitandone il furto. Secondo i giudici della terza sezione civile la società deve risarcire in denaro il valore della macchina, dovendosi configurare nella fattispecie una responsabilità in capo al gestore dell'impresa. Dopo la condanna da parte della Corte d'Appello al risarcimento dei danni subiti da un cliente dell'autolavaggio che aveva subito un furto della sua autovettura il gestore proponeva ricorso in Cassazione per cercare di escludere la sua responsabilità per l'avvenuto furto. La Corte di appello, aveva condannato la società ravvisando peraltro una negligenza del personale nel fatto di avere lasciato le chiavi di avviamento dell'automobile inserite nel cruscotto, senza che ciò fosse richiesto dalle esigenze del lavoro da eseguire. Secondo quanto eccepito dalla società che impugnava la sentenza
d'appello in cassazione, la Corte di Appello aveva erroneamente fondato il giudizio sulla responsabilità per custodia di cui all'art. 1780 cod. civ. Tale norma, secondo il ricorrente, sarebbe applicabile solo ai contratti di deposito e assimilati, ove la custodia costituisce oggetto della prestazione principale, e non nei casi in cui la custodia costituisca obbligazione accessoria ad altra prestazione, nei quali il criterio di imputazione della responsabilità dovrebbe essere quello di cui all'art. 1176 cod. civ., cioè la violazione dei principi dell'ordinaria diligenza). Ritenendo il motivo inammissibile la Corte ha spiegato che "la Corte di appello ha emesso la condanna non per avere ritenuto applicabile l'art. 1780 anziché l'art. 1176 cod. civ., ma perché ha ritenuto che in ogni caso la ricorrente sia da ritenere responsabile per negligenza, per avere lasciato le chiavi inserite nel cruscotto, lasciando così aperta la vettura, così che chiunque vi si potesse introdurre, mettendola in moto, com'è in effetti avvenuto (…) Né la ricorrente spiega - ha aggiunto la Corte - per quali ragioni l'applicazione dell'una anziché dell'altra norma avrebbe in concreto consentito di assolverla da responsabilità". Rigettando dunque il ricorso principale e confermando la condanna della società, la Suprema Corte ha poi accolto l'unico motivo del ricorso incidentale con cui il cliente aveva sostenuto che erroneamente la Corte di Appello aveva omesso di attribuirle gli interessi legali sulla somma liquidata in risarcimento. "In tema di risarcimento del danno - hanno concluso gli Ermellini enunciando il seguente principio di diritto - la domanda di corresponsione degli interessi legali in aggiunta alla rivalutazione monetaria, è da ritenere compresa nella domanda di risarcimento integrale del danno, anche a prescindere da specifica domanda (cfr. da ultimo Cass. Civ. Sez. 3, 28 aprile 2010 n. 10193)".
Consulta testo sentenza n. 23698/2011

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