Il professionista non è responsabile della consulenza sbagliata, frutto di un'interpretazione di un "confuso quadro normativo". È questo il principio di diritto enunciato dalla terza sezione civile della Corte di Cassazione (sentenza n. 21700/2011). Nel caso esaminato da Piazza Cavour, un notaio citava in giudizio un consulente del lavoro per richiedere il risarcimento del danno per una errata attività di consulenza. La Corte di Appello riformava però la sentenza di primo grado, rigettando la domanda di risarcimento del danno proposta dal notaio che veniva anche condannato a pagare il saldo dei compensi per l'attività di consulenza del lavoro prestata. In sostanza, il consulente aveva consigliato al Notaio di versare i contributi previdenziali relativi ad alcuni giovani assunti con contratto
di formazione e lavoro, in misura fissa, analogamente a quanto previsto per gli assunti con il contratto di apprendistato. Tale inquadramento, tuttavia, era stato ritenuto non corretto dall'Istituto previdenziale competente, sulla base di una interpretazione della legge n. 407 del 1990 (art. 8) che escludeva gli studi professionali dalla categoria delle "imprese" ammesse a tale agevolazione. Per tale motivo, il notaio richiedeva il risarcimento dei danno conseguenti alla parziale omissione contributiva (per sanzioni e differenze di contributi). La Corte d'appello, accogliendo la domanda del consulente diretta ad ottenere il pagamento delle differenze dovute per l'attività di consulenza, riformando la sentenza di primo grado, aveva però ritenuto escluso qualsiasi elemento di responsabilità in quanto la consulenza rappresentava la legittima interpretazione di un confuso quadro normativo. La Cassazione, rigettando il ricorso del notaio e confermando la statuizione di secondo grado, ha enunciato il principio di diritto secondo il quale, la limitazione della responsabilità professionale del professionista ai soli casi di dolo o colpa grave a norma dell'art. 2236 cod. civ. si applica nelle sole ipotesi che presentino problemi tecnici di particolare difficoltà.
Consulta sentenza n. 21700/2011

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