Il lavoratore che si avvale della corresponsione anticipata dell'indennità di mobilità ai sensi dell'art. 7, comma 5, della legge n. 223 del 1991, e viene conseguentemente cancellato dalle liste di mobilità ai sensi dell'art. 9, comma 9, lett. b) della stessa legge, non ha diritto all'incentivo una tantum di cui all'art. 12, comma 5, lett. b), del D.L.gs. n. 468 del 1997. Questo il principio di diritto affermato dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione che, con sentenza n. 21820 del 20 ottobre 2011, ha cassato e, decidendo nel merito, ha revocato il decreto ingiuntivo
ottenuto dal lavoratore e opposto dall'INPS. La Corte territoriale aveva rigettato l'opposizione proposta dall'Istituto avverso il decreto ingiuntivo con cui era stato ingiunto il pagamento, a favore di un lavoratore, del contributo a fondo perduto previsto dall'art. 12, comma 5, lett. b), del D.L.gs. n. 468 del 1997, considerando la cumulabilità del contributo in questione con l'indennità di mobilità percepita in unica soluzione ai sensi dell'art. 7, comma 5, della L. 223 del 1991 e conseguente cancellazione dalle liste di mobilità. La Suprema Corte, invece, ha precisato che il beneficio di cui all'art. 12, comma quinto, lett. b) del D.Lgs. n. 468 del 1997, che presuppone l'esistenza di un progetto di lavoro autonomo, implica pure la costanza del trattamento di mobilità che invece è escluso dalla corresponsione anticipata dell'indennità di mobilità. La non cumulabilità dei due benefici, evidenziano i giudici di legittimità, è coerente con la ratio delle due previsioni entrambe finalizzate a favorire l'intrapresa di attività autonome da parte di lavoratori in mobilità o già inseriti in progetti per lavoratori socialmente utili.

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