In materia di reati in famiglia, e in particolare, di violenze sessuali su minori (art. 609-bis, c.p.), con la sentenza n. 36829, depositata il 12 ottobre 2011, la Corte di cassazione ha stabilito che la madre che non impedisce le violenze sessuali del padre sulla figlia è responsabile di violenza sessuale. È questo il contenuto della sentenza
della terza sezione penale. La vicenda nasce dalla denuncia di uno dei figli della coppia che, testimone oculare degli episodi di violenza sessuale in danno delle sorelle minorenni, denunciava il padre e il clima di terrore che regnava nella sua famiglia. Secondo la ricostruzione della vicenda, oltre alla condanna del padre, anche la madre delle minori, sia in primo che in secondo grado, veniva ritenuta responsabile per il reato di violenza sessuale in danno dei figli per non aver denunciato il marito, non essendone completamente succube. Su ricorso per cassazione proposto dalla donna, gli Ermellini, confermando la condanna precisavano che l'omissione non impeditiva è equiparata all'azione causale, ai sensi dell'art.40 comma 2 del codice penale
: essa necessita che il soggetto abbia una posizione di garanzia in base a una fonte formale di rilevanza giuridica che gli impone di agire. Pertanto, è anch'essa responsabile di violenza sessuale e maltrattamenti la madre che non impedisce al padre di violentare le figlie, venendo così meno all'obbligo genitoriale che le impone di tutelare i figli minori, ai sensi dell'art. 30 Cost. e 147 c.c., norme che le impongono di agire a tutela delle figlie per adempiere al suo obbligo genitoriale. La Corte ha poi aggiunto che "per rendere compatibile la responsabilità penale ex art. 40 comma 2 c.p. con i principi costituzionali, necessità che il garante, oltre alla conoscenza delle situazioni di pericolo, sappia quale sia l'azione doverosa che gli compete e quali siano i mezzi per raggiungere il fine. Ora, nel caso concreto, nessuna emergenza giustifica la conclusione che la donna avesse un deficit intellettivo e non fosse in grado di capire quale fosse la semplice iniziativa che doveva prendere cioè, denunciare il marito o, comunque, allontanarlo dalle figlie.
L'imputata - come segnalato dai giudici di merito - era a contatto con gli assistenti sociali che si recavano presso la sua abitazione; pertanto, non è comprensibile la ragione per la quale non si sia confidata con loro per farsi consigliare sui mezzi per fronteggiare la situazione. Nell'atto del ricorso si definisce la donna "priva di autonomia intellettiva, sociale ed economica", alla "mercè" del marito violento e prevaricatore (senza, peraltro, fornire elementi o argomenti a sostegno di tali negativi giudizi): questa situazione non integra alcuna esimente e spiega, ma non giustifica l'inattività della donna nel tutelare la integrità fisica e psichica delle figlie".
Consulta sentenza n.36829/2011

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