La corretta applicazione dell'art. 7 della legge n. 241/1990 ai procedimenti anagrafici, in ordine alla comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, non può prescindere dalla conoscenza dei principi che sottendono alla norma ed alle caratteristiche che ne qualificano (o non qualificano) l'obbligatorietà. Intorno alla ratio della norma molte sono le espressioni dottrinali e le pronunce giurisprudenziali rinvenibili in letteratura. La regola procedimentale stabilita dall'art. 7 è, in via di principio generale, volta all'esigenza di garantire piena visibilità all'azione amministrativa nel momento della sua for-mazione, nel contempo assicurando la partecipazione di coloro che hanno interesse al provvedimen-to finale. Funzione principale della norma è dunque quella di consentire al cittadino di dialogare con l'Amministrazione nelle more dell'emissione del provvedimento finale. Il Consiglio di Stato - Sez. V - chiarì, con la sentenza
n. 1364 del 26 settembre 1995, che la comu-nicazione dell'avvio del procedimento amministrativo ha lo scopo di consentire all'interessato, a proposito di ogni atto amministrativo che possa recare offesa ai suoi diritti, libertà e interessi, di proporre fatti e argomenti e, occorrendo, di offrire mezzi di prova di cui l'autorità amministrativa terrà conto. Ancora lo stesso Consiglio - Sez. V - precisò, con la sentenza n. 306 del 1° aprile 1997, che l'obbligo della comunicazione all'interessato dell'avvio del procedimento amministrativo, previ-sto dagli articoli 7 e 8 della legge 7 agosto 1990 n. 241 sotto il titolo "partecipazione al procedimen-to amministrativo", trova complemento e giustificazione nel "diritto", riconosciutogli dal successivo articolo 10, di presentare memorie scritte e documenti, che l'Amministrazione ha l'obbligo di valuta-re, ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento. A sua volta la Cassazione Civile - Sez. Unite - con sentenza
n. 10367 del 08 maggio 2007, sottoli-neò il valore della novella legislativa, precisando che la comunicazione prescritta dall'art. 7 della legge n. 241 del 1990 costituisce attuazione del principio in forza del quale il procedimento ammi-nistrativo, quando è preordinato all'emanazione di provvedimenti che apportano limitazioni agli in-teressi dei privati, deve essere disciplinato in modo che i cittadini siano messi in grado di esporre le loro ragioni, sia a tutela dei propri interessi sia a titolo di collaborazione nell'interesse pubblico, prima che sia assunta la determinazione da parte dell'Amministrazione. Sicché, ad eccezione dei procedimenti amministrativi diretti all'emanazione di atti normativi, generali, di pianificazione e di programmazione e dei procedimenti tributari, il principio di partecipazione ha una portata generale, non ammettendo deroghe se non nei casi espressamente previsti e che devono es! sere interpretati in modo rigoroso e dev'essere attuato sin dall'inizio del procedimento. De pari illuminante, circa i principi e gli scopi dell'art. 7, è il commento di Romano Minardi che, sostanzialmente dispiegando le medesime massime giurisprudenziali, integra le connesse riflessioni sostenendo, tesi del tutto condivisibile, che l'art. 7 mira a "sollecitare il privato destinatario del provvedimento finale, o comunque titolare di un interesse diretto all'emanazione di un provvedi-mento, ad intervenire nelle fasi istruttorie del procedimento ". Fissati i principi, spetta ora di individuare i casi in cui l'avvio del procedimento è dovuto. Il primo riferimento normativo ad individuare l'ambito di applicazione del Capo III - Partecipazio-ne al procedimento amministrativo - della legge n. 241/1990, è l'art. 13, che testualmente recita: 1. Le disposizioni contenute nel presente capo non si applicano nei confronti dell'attività della pubbli-ca amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianifica-zione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la for-mazione. 2. Dette disposizioni non si applicano altresì ai procedimenti tributari per i quali restano parimenti ferme le particolari norme che li regolano, nonché ai procedimenti previsti dal decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e suc-cessive modificazioni, e dal decreto legislativo 29 marzo 1993, n. 119, e successive modificazioni". Prima delle modifiche apportate alla legge n. 241/1990 dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, orien-tamento e giurisprudenza costante informavano dell'obbligo dell'avvio del procedimento solo con riferimento ai procedimenti attivati d'ufficio e non anche ad iniziativa di parte. Tale determinazione trovava la sua ragione nella considerazione della conoscenza degli elementi utili, già insita nella i-stanza del cittadino, alla partecipazione al procedimento. Ad oggi, la lettera c-bis), comma 2, dell'art. 8, come modificata dall'art. 5, L. 11 febbraio 2005, n. 15, costringe ad un riflessione differente (contraria). Tra i contenuti che devono far parte della co-municazione di avvio del procedimento figura infatti anche la data entro la quale, secondo i termini previsti dall'articolo 2, commi 2 o 3, deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell'amministrazione. E' ovvio che tali informazioni non possono essere già in possesso del cittadino che ha presentato istanza e, pertanto, risulta implicito dovere ad egli comunicarli. A consolidare la convinzione dell'obbligo di comunicazione al cittadino anche nell'ipotesi di pro-cedimento attivato ad istanza di parte è poi la successiva lettera c-ter), laddove è previsto che la comunicazione personale di avvio del procedimento deve essere inviata anche nel caso di procedi-menti ad iniziativa di parte e deve contenere la data di presentazione dell'istanza. Il comma 1, dell'art. 21-octies, prevede l'annullabilità del provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza, rendendo di fatto, in via ge-nerale, obbligatoria la comunicazione di avvio del procedimento. Il seguente comma 2, tuttavia ammette la non annullabilità dello stesso provvedimento qualora, per la natura vincolata del prov-vedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. La citata sentenza n. 10367/2007 della Cassazione Civile, ripercorre pedissequamente l'assunto, laddo-ve afferma che la mancata comunicazione può essere giustificata solo se l'Amministrazione, ai sensi d! ell'art. 21-octies, dimostri che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato. Ad integrare le considerazioni della Cassazione sono tuttavia altre affermazioni del Consiglio di Stato. Quest'ultimo, nella citata sentenza n. 1364/1995, sostiene che, datosi lo scopo partecipativo della comunicazione di cui all'art. 7, la comunicazione formale dell'avvio del procedimento risulta superfluo quanto il medesimo scopo sia stato in qualsiasi altro modo raggiunto e la sua omissione non rende illegittimo il provvedimento. Dello stesso avviso, ma integrato di ulteriori valutazione, è ancora il medesimo Consiglio, laddove con la sentenza n. 363 del 14 aprile 1997, afferma che le norme di partecipazione al procedimento amministrativo, di cui agli articoli 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241 non vanno applicate meccanicamente e formalisticamente nel senso che sia necessario annullare ogni procedimento in cui sia mancata la fase partecipativa, ma vanno interpretare nel sen-so che sono ugualmente legittimi i procedimenti nei quali è stato comunque raggiunto lo sc! opo cui la comunicazione tende. E' chiaro che, alla luce del predetto articolo 8, lo scopo deve comprendere anche le informazioni circa la data entro la quale deve concludersi il procedimento, i rimedi esperi-bili in caso di inerzia dell'amministrazione e la data di presentazione della relativa istanza. Si aggiunga che la violazione dell'art. 7 non è da considerare un solo vizio formale, ma sostanziale in rapporto ai principi del giusto procedimento, in presenza di atti che siano espressione di discre-zionalità dell'Amministrazione, ove quest'ultima non dimostri in giudizio che la partecipazione del cittadino alla fase istruttoria non avrebbe potuto influire sul contenuto del provvedimento finale. Ad ogni buon conto, con riguardo alla non tassatività dell'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento, è da tener presente uno dei principi fondamentali ai quali è ispirato tutto l'impianto della legge n. 241/1990, peraltro richiamato dallo stesso primo periodo dell'art. 7: la celerità del procedimento. Qualora infatti il procedimento risultasse di particolare semplicità e particolarmente breve quanto a risoluzione, l'avvio del procedimento costituirebbe un aggravio al procedimento stesso che, a danno dell'amministrazione procedente ed anche del cittadino interessato, ritarderebbe (quasi per eccesso di zelo) l'adozione del provvedimento finale in tempi ristretti . L'esigenza di ce-lerità deve essere a sua volta valutata dall'Amministrazione procedente nel momento in cui occorre decidere se avvisare o meno l'interessato dell'avvio del procedimento. Si abbia l'accortezza di considerare inoltre che l'urgenza del procedimento, in relazione alla quale è possibile individuare l'esigenza di celerità, non può essere una "qualsiasi" urgenza, pertanto sosti-tuibile, in deroga, al generale obbligo di comunicazione. L'urgenza deve essere "qualificata", tale cioè da non consentire la comunicazione, senza che risulti compromesso il soddisfacimento dell'interesse pubblico cui il provvedimento finale è rivolto.
Gabriele Casoni, Direttore della Rivista "Lo Stato Civile Italiano" - www.sepel.it

Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: