Revoca delle agevolazioni contributive con effetto retroattivo per il datore di lavoro che dichiara all'INPS un'attività non rispondente a quella effettivamente svolta. E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 8068/2011 in merito al ricorso proposto da un'imprenditrice cui era stato ingiunto il pagamento, in favore dell'INPS, di somme a titolo di contributi sulla base della non spettanza di sgravi contributivi per la natura commerciale e non industriale dell'attività svolta. La Suprema Corte, respingendo il ricorso, ha precisato che il principio generale in base al quale il recupero di quanto indebitamente percepito può riguardare solo periodi successivi al nuovo inquadramento fornito dall'Istituto, non opera allorché l'iniziale inquadramento sia stato determinato da inesatte dichiarazioni del datore di lavoro.
Nel caso di specie, i giudici di legittimità sottolinenano che la Corte d'Appello ha considerato in modo esauriente gli accertamenti operati in sede ispettiva operando una analitica ricostruzione delle vicende aziendali che avevano originato il godimento degli sgravi contributivi, rilevando il carattere prevalentemente commerciale dell'attività, sì che "la variazione di classificazione operata dall'INPS doveva ritenersi giustificata, con effetto retroattivo ai fini degli sgravi anche in relazione al disposto dell'art. 3, comma 8, della legge n. 335 del 1995 (che dispone tale retroattività ove il precedente inquadramento sia conseguito a dichiarazioni inesatte del datore di lavoro)".

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