LEGGE N. 30/2003 (CD. LEGGE BIAGI)

 

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L’ultima legge emanata dal Parlamento, già in vigore da diversi mesi, è la legge del 14 febbraio 2003 n. 30, meglio conosciuta come legge Biagi. Quest’ultima innova l’attuale reticolato normativo in tema di diritto del lavoro secondo due direttrici principali, peraltro strettamente connesse tra di loro e che paiono muoversi lungo un’analoga ratio di liberalizzazione lato sensu. Da un lato, contiene una delega al Governo per il potenziamento e, in certi casi, la vera e propria introduzione, di moduli e tipologie contrattuali sconosciuti al legislatore italiano e che, nella gran parte dei casi, sono frutto di esperienze mutuate dal contesto economico-giuridico americano. Dall’altro lato, prevede una sensibile riforma nell’attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro.

Partendo da un’analisi dell’evoluzione in quest’ultimo ambito, l’art. 1 della legge n. 30/2003 autorizza l’esecutivo ad emanare uno o più decreti legislativi “con particolare riferimento al sistema del collocamento pubblico e privato”; all’art 2, subito dopo, detta numerosi principi e criteri direttivi cui il Governo dovrà attenersi, alcuni dei quali direttamente attinenti al nostro primo focus di analisi. Nello specifico, si impone, innanzitutto e in via generale, uno snellimento e una semplificazione delle procedure di incontro tra domanda e offerta di lavoro. Conseguentemente si passa a concentrare l’attenzione sui servizi pubblici, indicando l’esigenza di una modernizzazione e razionalizzazione del sistema del collocamento pubblico, al fine di renderlo maggiormente efficiente; ulteriore obiettivo che viene posto è quello della unificazione del regime autorizzatorio o di accreditamento per gli intermediari di natura pubblicistica, anche se differenziato in funzione del tipo di attività svolta.

Particolare attenzione, poi, è riservata agli organismi di diritto privato, anche sulla base delle difficoltà dimostrate dal settore pubblico di raggiungere sufficienti livelli di modernizzazione ed efficienza; il SOLE 24 ORE, al proposito, parla di risultati pari al 4% circa di intermediazioni all’anno.

Sulla base di questa situazione di partenza, la legge n. 30/2003 sollecita forme di coordinamento e raccordo fra il settore privato e gli operatori pubblici e indica la via dell’abrogazione di tutte le norme incompatibili con la nuova regolamentazione del collocamento. Si dovranno, comunque, far salvi il regime di autorizzazione o accreditamento per gli operatori di carattere privatistico e le competenze provinciali di ordine amministrativo. Con tali precisazioni, la legge n. 30/2003 effettua un chiaro richiamo alla disciplina in materia dettata dal D. Lgs. n. 469/1997 ( attuativo, a sua volta, della delega contenuta nell’art. 1 della legge n. 59/1997, la cd. legge Bassanini). Il decreto legislativo suddetto, all’art. 10, impone il rispetto di alcune condizioni per l’esercizio dell’attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro, in particolare, l’autorizzazione preventiva, in funzione di controllo, del Ministero del lavoro, nonché la costituzione degli agenti sotto forma di imprese o gruppi di imprese, anche società cooperative, il cui capitale versato sia pari ad almeno 200 milioni di lire ovvero enti non commerciali con patrimonio non inferiore, anche in questo caso, a 200 milioni di lire. La legge Biagi, nell’ottica di liberalizzazione che pare animarlo, elimina il vincolo dell’oggetto sociale esclusivo per i soggetti ora visti, che continuano, per il resto, a essere disciplinati dal D. Lgs. n. 469/1997.

Per rendersi conto maggiormente dei cambiamenti del collocamento per tutti i soggetti che si muovono all’interno del mercato del lavoro, è interessante l’analisi, compiuta dal SOLE 24 ORE, dei riflessi diretti, da un lato, sui datori di lavoro e, dall’altro lato, sui lavoratori. Per quanto riguarda i primi, l’apertura ai privati dei servizi per l’impiego permetterà alle imprese di correlarsi ad una pluralità di organismi, diretti a fornire loro una manodopera il più possibile calibrata sulle specifiche esigenze; risultano, così, moltiplicate le opportunità per le aziende di trovare un profilo professionale adeguato. Dall’altra parte, coloro che sono in cerca di occupazione potranno rivolgersi, ora, oltre che agli sportelli del collocamento pubblico, anche ad agenzie private, in primis quelle interinali, così come, ad esempio, a università, scuole superiori e società di selezione del personale o di ricollocazione professionale.

Tornando alle novità introdotte, il vincolo dell’oggetto sociale esclusivo è venuto meno (almeno nell’ambito dei criteri direttivi enunciati dalla legge n. 30/2003) anche per un’altra categoria di operatori del mondo del lavoro contemporaneo: le imprese di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo, società che stipulano contratti con lavoratori disposti a prestare la loro opera per i datori di lavoro contattati, a loro volta, dalle stesse “agenzie interinali” (le principali, almeno per quanto riguarda la provincia di Ascoli Piceno, sono la Adecco e la Man Power). La normativa che riguarda la costituzione e l’attività di questi ulteriori attori del mercato del lavoro è contenuta nell’articolo 2 del legge n. 196/1997, intitolata “norme in materia di promozione dell’occupazione”. Secondo tale disposto legislativo, espressamente richiamato, l’attività di fornitura di lavoro temporaneo può essere svolta solo dalle società iscritte in un apposito albo tenuto e aggiornato dal Ministero del lavoro, soggetto competente anche al rilascio di contestuale autorizzazione qualora risultino soddisfatti i requisiti indicati e che dovranno essere comunicati anche alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della provincia in cui la società ha la sede legale. Tra le principali condizioni da rispettare, ricordiamo:

a)   la costituzione sotto forma di società di capitali ovvero cooperativa;

b)  l’inserimento, nella denominazione sociale, dell’espressione “società di fornitura di lavoro temporaneo”, evidentemente per esigenze di trasparenza e di agevolazione dei controlli;

c)  individuazione dell’oggetto sociale come esclusivo (ma di tale vincolo, si ricorda, è stata prevista l’eliminazione dalla legge Biagi);

d)  l’acquisizione di capitale versato non inferiore a un miliardo di lire;

e)   sede nel territorio italiano o di altro Stato membro dell’UE;

f)   disponibilità di uffici e di competenze professionali idonee allo svolgimento dell’attività di fornitura di manodopera;

g)  diffusione dell’attività a livello nazionale o, almeno, che abbracci un territorio di un minimo di quattro Regioni;

h)  garanzia dei crediti dei lavoratori e dei corrispondenti oneri riflessi, nonché il deposito cauzionale di 700 milioni, costituito presso un istituto di credito e mantenuto per i primi due anni, evidentemente al duplice fine di garanzia dei diritti patrimoniali dei lavoratori e di stabilità e certezza del mercato.

La legge Biagi interviene puntualmente anche nel campo dell’intermediazione nel mercato del lavoro, muovendosi lungo il solco tracciato dalla legge n. 196/1997, appena vista, contemperando, quindi, le istanze di liberalizzazione con quelle di ordinata regolamentazione e vigilanza, dato il coinvolgimento di diritti fondamentali. Dopo aver abrogato la legge n. 1369/1960 che per decenni ha vietato lo svolgimento dell’attività di interposizione nel mercato del lavoro, indica alcuni principi finalizzati proprio a raggiungere quel delicato contemperamento cui la legge mira. Innanzitutto, la somministrazione di manodopera potrà avvenire anche a tempo indeterminato, e, in ciò, si è sensibilmente innovato rispetto al passato, ma restano quelle condizioni preliminari che rimangono imprescindibili per rimanere entro il perimetro di liceità: è necessario, infatti, che l’impresa giustifichi il ricorso alle cd. agenzie interinali con ragioni di carattere tecnico, produttivo od organizzativo, individuate dalla legge o dai contratti collettivi di lavoro. Si prevede, inoltre, che sia meglio marcata la linea di confine fra appalto e interposizione e più puntualmente delineati i casi di interposizione illecita ove manchino le condizioni ora evidenziate ovvero si ipotizzino violazioni di diritti inderogabili che sono riconosciuti al lavoratore dalla legge o dalla contrattazione collettiva. Sempre a fini chiarificatori, l’art. 5 della legge n. 30/2003 prevede un apposito meccanismo di certificazione ai fini della concreta distinzione tra interposizione illecita e appalto sic et simpliciter, basandosi, prevalentemente, sul criterio dell’effettiva organizzazione dei mezzi e assunzione del rischio, presupposti specificamente delineati dal codice civile per il contratto di appalto (v. art. 1655 c.c.). Per quanti non si conformeranno alle condizioni di liceità dell’attività, sono confermate le sanzioni di carattere sia civilistico che penalistico e se ne indica l’istituzione di ulteriori in caso di esercizio abusivo di intermediazione privata o sfruttamento di lavoro minorile. Allo scopo, infine, di salvaguardare i diritti patrimoniali dei lavoratori coinvolti nella somministrazione di manodopera, si impone di assicurare un regime di solidarietà fra fornitore e utilizzatore in caso di somministrazione di lavoro altrui e remunerazioni non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell’impresa utilizzatrice.

Come si diceva poc’anzi, l’ambito d’intervento della legge Biagi, oltre a quello appena esaminato, è quello della “flessibilizzazione” del mercato del lavoro. Con tale espressione, ormai entrata prepotentemente nel linguaggio politico e giuridico degli ultimi anni, ci si riferisce, prevalentemente, alla tendenza sempre crescente verso la creazione di nuove formule contrattuali che cerchino di favorire, il più possibile, l’incontro delle esigenze delle imprese con le capacità e disponibilità offerte dai lavoratori. Una spinta decisiva in tal senso è ora giunta con la legge Biagi, in particolare con i suoi artt. 2, 3 e 4.

L’art. 2 contiene una delega al Governo all’adozione di uno o più decreti legislativi diretti a riformare, nel rispetto delle competenze regionali e degli orientamenti provenienti dalla sede comunitaria, i rapporti di lavoro a contenuto formativo e di tirocinio. In particolare, si autorizza l’esecutivo a incentivare e sostenere in modo più fermo l’utilizzo corretto dell’apprendistato e dei tirocini, tipologie contrattuali che devono valorizzare l’accrescimento delle competenze all’interno dell’azienda, così come previsto già dall’art. 16 della legge n. 196/1997. Anche il contratto di formazione e lavoro è indicato come una formula idonea a raccordare il sistema formativo con quello lavorativo e agevolare, così, la qualificazione e riqualificazione professionale, incentivando l’assunzione da parte delle aziende. Si autorizza pure la revisione di misure di inserimento al lavoro che, pur non costituendo un vero e proprio rapporto di lavoro, sono finalizzate all’acquisizione “sul campo” di utili conoscenze da spendere in futuro.

Al fine di evitare gli abusi che spesso si pongono in essere ai danni degli “stagisti” (altro termine ormai entrato nel lessico comune), è prevista una durata variabile ma che non può oltrepassare i 12 mesi (o 24 mesi se si tratta di disabili) e l’eventuale corresponsione di un sussidio.

Sempre nel quadro dei contratti formativi, una particolare attenzione è riservata alle donne, tendenza garantista che è consolidata anche negli indirizzi comunitari e che trova sua giustificazione nell’oggettivo gap che si rileva fra le difficoltà incontrate dagli uomini e quelle incontrate dalle donne; su queste ultime, infatti, gravano incombenze familiari, specialmente quelle inerenti alla maternità, che, agli occhi del datore di lavoro, la sottraggono all’impegno lavorativo. La legge n. 30/2003 evidenzia la necessità di valorizzare, in special modo, il reinserimento della manodopera femminile che sia uscita dal mercato del lavoro, per l’assolvimento di tali compiti, e desiderino rientrarvi: dalle statistiche, infatti, risulta essere questa una delle categorie con maggiori ostacoli e che, dunque, necessita di interventi mirati, anche, come suggerisce la legge stessa, attraverso la semplificazione delle procedure di assegnazione di incentivi nonché mediante un potenziamento degli strumenti di monitoraggio, diretti a evidenziare quali misure abbiano garantito i migliori risultati in termini occupazionali.

Per concludere sulla categoria dei contratti a contenuto formativo, la legge Biagi individua, come procedura ottimale per l’individuazione delle modalità di attuazione in azienda degli stessi e per la definizione di codici di comportamento e linee-guida comuni, la contrattazione collettiva e/o l’istituzione di organismi bilaterali cui partecipino le rappresentanze di datori di lavoro e di lavoratori.

Un altro intervento ritenuto idoneo a favorire l’incremento del tasso di occupazione è il potenziamento del ricorso al part-time. Tale forma contrattuale si addice principalmente, come espressamente indicato dalla legge in commento, alle donne, ai lavoratori over 55 e ai giovani e deve ritenersi del tutto compatibile anche con il settore agricolo. Per sollecitare l’utilizzo di questa forma di flessibilizzazione, si ipotizzano incentivi, anche di natura previdenziale, nonché il ricorso a prestazioni di lavoro supplementare ovvero forme lavorative elastiche per il lavoro a tempo parziale, sia di tipo orizzontale che di tipo verticale o misto. Inoltre, si afferma la computabilità pro rata temporis, in proporzione dell’orario effettivamente svolto, ai fini dell’applicazione delle norme di legge e delle clausole contrattuali che facciano riferimento al numero di occupati in ogni unità produttiva. Le agevolazioni, dirette a incrementare pure i contratti a tempo determinato part-time, saranno concordate dalle associazioni maggiormente rappresentative o, in mancanza, anche sulla base del consenso del lavoratore coinvolto.

Mentre le tipologie contrattuali finora viste, seppure destinatarie di misure di potenziamento, erano già note al panorama legislativo italiano, il quarto articolo della legge Biagi è, probabilmente, il più innovativo; esso introduce, infatti, forme di lavoro del tutto sconosciute al nostro legislatore e, invece, assai diffuse nel mercato del lavoro americano, la cui profonda diversità ha suscitato, da più parti, perplessità circa la scelta di trapiantarle nel nostro contesto.

Il primo elemento di questa “batteria di flessibilità”, come il SOLE 24 ORE ha definito l’ampliamento delle tipologie di rapporti contrattuali, è il lavoro a chiamata (o job on call per rendere ancora più palese la sua origine anglosassone); è un modello che si addice a prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, per l’individuazione delle quali si rinvia alla contrattazione collettiva, e, prevalentemente, ad attività soggette a picchi di produttività, sia stagionali che occasionali. All’interno del job on call è enucleabile una duplice possibilità: le parti potranno concordare sia che il lavoratore sia libero di rispondere o meno alla chiamata, sia che quest’ultimo sia tenuto ad assicurare al datore di lavoro la prestazione pattuita. In quest’ultimo caso, al lavoratore dovrà essere riconosciuta anche una congrua indennità cosiddetta di disponibilità; viceversa, la retribuzione sarà proporzionale solo al lavoro effettivamente svolto.

Con riferimento al lavoro temporaneo, se ne prevede l’estensione sia con riferimento al settore agricolo (anche tramite agenzia) sia con riferimento all’assunzione delle quote obbligatorie di lavoratori disabili di cui alla legge n. 68/1999, secondo il principio pro rata temporis.

Per quanto riguarda le collaborazioni coordinate e continuative (in gergo noti come co.co.co.), la legge Biagi prevede una decisa svolta nell’ottica di aumentare i livelli di trasparenza e di chiarezza nelle prestazioni reciproche e le connesse garanzie, onde evitare le forme di snaturamento che si sono, fin troppo spesso, inverate nella prassi. Dovrà stipularsi un contratto in forma scritta in cui si devono essere precisati durata (determinata o determinabile), il tipo di collaborazione, la riconducibilità di questa a uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso (resi con lavoro prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione), nonché il corrispettivo, da determinarsi in base ai parametri della quantità e qualità del lavoro prestato.

Ai fini dell’elevazione dei livelli di garanzia per il lavoratore, si prevedono tutele fondamentali a presidio della dignità e della sicurezza dei lavoratori, con particolare riferimento a malattia e infortunio e alla sicurezza nei luoghi di lavoro, anche nel quadro di intese collettive; per assicurare il rispetto di tali forme garantistiche, si prospetta il ricorso ai meccanismi di certificazione indicati dall’art. 5 della legge in esame e un adeguato sistema sanzionatorio per i casi di inosservanza delle disposizioni di legge. E’ da sottolinearsi come era davvero necessaria una regolamentazione delle collaborazioni e consulenze, anche perché, esulando dalla contrattazione collettiva, queste ultime prestavano facilmente il fianco a diverse forme di abuso.

Si individuano, già con la legge delega, i criteri in virtù dei quali distinguere il co.co.co. dai rapporti di lavoro meramente occasionali: per rientrare in quest’ultima categoria, la durata complessiva non dovrà superare i 30 giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente e il compenso complessivo massimo è di 5000 euro. Il lavoro occasionale e accessorio si presta, in special modo, a opportunità di impegno sociale, rese a favore di famiglie e di enti senza fini di lucro (si pensi all’assistenza a bambini, anziani o disabili, a ripetizioni private e simili mansioni) da disoccupati di lungo periodo, altri soggetti a rischio di esclusione dal mercato del lavoro ovvero in procinto di uscire o non ancora entrati nello stesso. Per rendersi disponibili a offrire tali prestazioni, che potranno essere pagate con dei buoni che comprendono sia la retribuzione che i contributi previdenziali, è necessario iscriversi alle liste apposite tenute dai centri per l’impiego (senza perdere, per ciò solo, lo status di disoccupati).

Altra formula innovativa è quella dello staff leasing; sarà possibile “l’affitto di manodopera” (così si esprime il SOLE 24 ORE) anche a tempo indeterminato. In sostanza il lavoratore viene assunto con contratto sine die da una delle società di lavoro interinale e presta la sua attività lavorativa all’interno di una o più imprese utilizzatrici, che, a loro volta, gli assicurano uguale retribuzione e diritti rispetto ai dipendenti dell’azienda stessa. Tuttavia, si sottolinea che per “affittare” interi staff di lavoratori per lo svolgimento di una serie di attività (si pensi ai servizi di pulizia o di call center) devono ricorrere “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo”.

Per concludere la panoramica sulla “batteria di flessibilità” neo-introdotta, si prevede l’ammissibilità del lavoro ripartito (o job sharing), attraverso il quale due o più lavoratori assumono l’adempimento di un'unica obbligazione lavorativa, obbligandosi in solido nei confronti di un datore di lavoro. Soggetti appartenenti  a categorie con esigenze di flessibilità, specie donne e giovani, si divideranno, così, sia il monte orario che la retribuzione.

Pare interessante dar conto dei primi commenti registratisi fra gli esponenti delle associazioni rappresentative di lavoratori e di datori di lavoro, nonché di quelli dati dalla stampa. Per quanto riguarda quest’ultima, si è già segnalato che il SOLE 24 ORE parla di “batteria di flessibilità” e si esprime in termini piuttosto sereni e ottimistici; di segno opposto sono i toni usati da La Repubblica, che riporta il parere dei sindacati. Si rileva che le formule di matrice americana vengono, come accennato, calate in una realtà socio-economica assai differente e che il risultato sarà di rendere ancora più problematica la situazione della classe lavoratrice. Mentre Cisl e Uil si dimostrano più cauti nell’esprimere giudizi sulla riforma, attendendo di approfondire meglio l’articolato definitivo e l’attuazione dello stesso, il segretario della Cgil annuncia una serie di scioperi per ribellarsi alla “frantumazione del mondo del lavoro” a una “disarticolazione delle forme di rappresentanza” e alla “individualizzazione del rapporto di lavoro”. Il complesso delle tipologie contrattuali introdotte viene , poi, definito “self service della precarietà che punta a rendere il lavoratore sempre più solo e debole nel mercato del lavoro”.