I danni subiti, come quelli delle acque luride provenienti dal sistema fognario condominiale, devono essere puntualmente dimostrati

Avv. Filippo Antonelli - Il caso in esame impone la considerazione di una frequente situazione condominiale, ovvero i danni da rigurgito di acque luride del sistema fognario condominiale. Che vi sia una responsabilità del Condominio è innegabile, tuttavia la prova del danno deve essere offerta in modo chiaro e cristallino, senza mai considerarla in re ipsa,, con alcuni accorgimenti.


La vicenda

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Nel caso che ci occupa l'attore ovvero il singolo condomino conviene in giudizio il Condominio per ottenere il risarcimento dei danni subiti, quale proprietario di un'unità immobiliare facente parte dello stesso.

Il Tribunale in primo grado accertava, in effetti, la responsabilità del Condominio nella fuoriuscita delle acque, ma respingeva la domanda risarcitoria dell'attore perché il danno non risultava adeguatamente provato.

La controversia proseguiva in appello, dove il condomino lamentava che il Giudice di primo grado si fosse discostato ingiustificatamente dalle risultanze peritali.

Naturalmente in siffatti procedimenti una CTU risulta essere determinante ai fini della pronuncia del Giudice, come d'altronde lo è stata nel caso che ci occupa.

La perizia aveva attribuito la responsabilità dell'evento al Condominio, quantificando i danni ma, proseguendo, affermava il CTU di non aver potuto prendere visione dei danni effettivamente subiti dall'attore, il quale aveva semplicemente prodotto delle fatture e dei preventivi di spesa, oltre ad alcune dichiarazioni testimoniali.

La prova

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Pertanto la spesa asseritamente sostenuta per i lavori di ripristino non è mai stata provata.

Tale particolarità è assolutamente rilevante, se si pensa che si tratta di contestazioni poste a fondamento della domanda ma in alcun modo probanti la necessità dell'effettuazione delle stesse spese.

Non veniva infatti integrata la documentazione nemmeno con le fatture conseguenti all'esecuzione dei lavori preventivati.

La Corte d'Appello affermava inoltre che il preventivo è atto di parte, redatto da un terzo al di fuori del contraddittorio e inidoneo a provare il danno subito (così come Cass. Civ., n. 26693/2013).

Pertanto la quantificazione del danno è stata ritenuta meramente soggettiva, con la impossibilità di quantificare oggettivamente il danno subito.

Tentava l'attore di fornire la prova mancante con alcune dichiarazioni testimoniali, le quali tuttavia non sono ritenute idonee al fine di quantificare il danno.

Ne deriva la necessità di accertare fin da subito e cristallizzare "documentalmente" lo stato dei luoghi, se si vuole ottenere un giusto risarcimento in siffatte situazioni. Probabilmente uno strumento che sarebbe indicato a tal fine potrebbe essere quello dell'accertamento tecnico preventivo, caratterizzato da urgenza e idoneo a portare nel successivo giudizio di merito la prova del danno anche ai fini di una sua quantificazione.

Nel caso che abbiamo visto l'attore ha tentato anche di ottenere una pronuncia ai sensi dell'art. 1226 c.c., ovvero una pronuncia secondo equità una volta resosi conto della insufficienza probatoria.

La decisione

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Tuttavia la Corte d'Appello in sentenza (3151/2018) ha saggiamente sottolineato che l'art. 1226 c.c. può trovare applicazione solo ove sia impossibile o estremamente difficile provare l'entità esatta del danno e ciò in conseguenza di fattori oggettivi e non certamente di negligenza della parte danneggiata nell'allegarne e dimostrarne gli elementi dai quali desumerne l'entità (così come statuito da Cass. Civ., ordinanza n. 4534/2017).

D'altronde ben poteva l'appellante introdurre in giudizio documentazione atta a provare il danno ovvero ricorre ad un accertamento tecnico preventivo.

Avv. Filippo Antonelli

Foro di Forlì-Cesena

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