Situazioni ad alto rischio, solo con un’adeguata preparazione è possibile mantenere lucidità e capacità decisionale.

(dott.ssa Cesira Cruciani)


La lucidità e la capacità decisionale in situazioni ad alto rischio toccano l’ambito della psicologia, che nel tempo si è sempre più interessata del senso del pericolo, non solo all’interno dei gruppi operativi (forze di polizia, vigili del fuoco, operatori della 118, volontari di protezione civile), ma proprio nel vivere sociale.


In situazioni di pericolo ed alto rischio, si sperimenta sempre la paura anche se non sempre chi la prova ne è consapevole. In simili situazioni è fondamentale conoscere la presenza tanto della paura vissuta dentro, quanto della forza per mantenere lucidità e capacità decisionale.

Per tutti coloro che operano e prestano servizio durante eventi a rischio, è inevitabile provare paura non è un difetto bensì un sistema di autoconservazione, che riattiva tutte le funzioni necessarie a proteggersi, tanto a livello biologico quanto psichico. Occorre preparare le persone a considerare l’insorgere in loro della paura, la paura comparirà comunque durante l’operazione, ma in quel momento avrà un ruolo determinante e deleterio è per questo necessario formarle per dominarla.


In quell’attimo, l’offuscamento sarà tale che la mente correrà alla moglie, ai figli, a casa, senza riuscire più a focalizzare l’attenzione sul presente impellente della situazione. Senza un’adeguata preparazione, la paura si trasforma in difesa estrema o, ancor peggio, in distruttività.


Nell’istante distruttivo non c’è valutazione che quella disperata di giocare il tutto per tutto, mettendo a repentaglio persino la propria incolumità. A differenza della violenza, la distruttività è anche una violenza verso se stessi. Se gli uomini e le donne che hanno il compito di fronteggiare le situazioni ad alto rischio non vengono addestrati sulle esperienze di vissuti di paura, si troveranno, nel momento reale della crisi, a sperimentarla senza filtri e difese, arrivando a fare qualunque cosa. La paura annulla razionalità e capacità decisionale.


Oltre alla paura dentro di sé, se ne aggiunge una seconda che è la paura esterna, quella attorno a sé. È necessario che tutti gli operatori comprendano che anche gli altri provano una paura uguale e contraria.

Molto importante e fondamentale è l’organizzazione del gruppo della squadra, di persone che interagiscono tra loro e sono legate, ma soprattutto rispondono ad uno stesso uomo che è colui che le comanda. Se nel gruppo esiste una sorta di leader preformato, quasi sempre è meglio allontanarlo e creare un nuovo insieme. L’autorità va infatti esercitata solo dal comandante cui è istituzionalmente assegnato quel ruolo. È fondamentale che nei gruppi non operi unna gerarchia interna. Il passaggio degli ordini deve avvenire velocemente, la paura non aspetta ed è endemica. Bastano pochi minuti per creare il panico. Perché in base a dinamiche collettive il gruppo può funzionare come terapia per la paura, ma può anche accadere il contrario, ossia che il gruppo la moltiplichi, la diffonda. Per impedire questo, l’ordine deve arrivare con tempestività e la comunicazione essere chiara, diretta. Solo così la paura si seda, non sparisce certo, ma dal gruppo confluisce sul leader e si disperde rispetto allo scenario di pericolo.


Altro concetto importante per la coesione del gruppo è la stima, la consapevolezza di essere parte di una forza, la quale ha una funzione che si proietta sul singolo che ne è membro. Non è contemplata l’ambizione personale e narcisistica di chi intende fare dell’emergenza il teatro soggettivo, né tanto meno la rivendicazione personale, ma la dignità della propria professionalità.


Nel momento in cui si manifesta una condizione critica, la cui caratteristica è proprio di avvenire in maniera repentina e inaspettata, di rovesciare insomma lo scenario sperimentato fino ad un attimo prima, insorge negli operatori uno stato di completa confusione, che dura 40/50 secondi.


Negli eventi ad alto rischio non devono mai prendersi decisioni personali, occorre che le stesse siano assunte, invece, da una persona a cui arrivino i dati in tempo reale e che sia in grado di fare una valutazione lucida, solo la ragione permette delle scelte proporzionali.


Pertanto la formazione alla decisione deve essere fatta solo a coloro a cui spetterà in concreto scegliere. Quello che poi va curato con precisione è il modo della comunicazione della decisione, rapida nonché priva di termini che possano indurre confusione. La cosa peggiore sarebbe coinvolgere in questa formazione anche chi la decisione non deve assumerla mai. Gli altri componenti della squadra dovranno invece essere allenati alla ricezione del messaggio.


Lo scenario operativo è il luoghi in cui l’evento ad alto rischio può concretizzarsi. È necessario che le forze che si trovino ad agire in quello spazio lo conoscano prima. Ma la conoscenza deve spingersi oltre la semplice visione della mappa del luogo. In pratica ciascun operatore deve essere posto nella condizione di immaginare tutto ciò che potrà accadere. A partire dalla mappa, valutare le entrate, i posti da cui si potrebbe verificare uno sfondamento, se ci sono passaggi sull’acqua, dove sono le vie di fuga. Deve, in un certo senso, viverlo nella mente, inscenando nella testa ciò che non dovrà capitare nella realtà. Solo così sarà possibile adottare in concreto le cautele affinché quelle eventualità di pericolo non si esplicitino nello svolgersi delle manifestazioni.


Per far sì che l’operatore conosca lo scenario – una piazza, un aeroporto, una stazione – occorre permettergli di sperimentarlo in addestramento. Oggi ciò è possibile grazie alla tecnologia che dalla ripresa video del luogo dove è in programmazione un dato evento procede alla ricostruzione tridimensionale dell’ambiente al computer.

Tuttavia, nonostante il massimo impegno per vedere e pre-vedere, bisogna ricordare che non tutto è controllabile. Dunque continua a permanere la possibilità che si verifichino inaspettatamente momenti drammatici. Su quel momento drammatico bisogna focalizzarsi durante la formazione.


I criteri per scegliere chi inviare in missione dovranno essere semplici, diretti, lineari in modo che nessuno si senta discriminato. Però se si ricevono delle proteste esse non fanno altro che confermare che è stato bene escludere chi le ha mosse. Forse quella persona cercava un’occasione per mettersi in mostra. Analogamente, se qualcuno vive quella destinazione come un peso, potrebbe celare una depressione, per cui il compito non gli andrebbe assegnato, non in quel momento almeno. Anche persone assolutamente valide per quella mansione ad alto rischio, non sono in grado di assumersela in quel frangente, perché stanno vivendo problemi familiari gravi. Nell’istante del rischio penserebbero ai propri cari anziché preoccuparsi per la propria incolumità.


Inoltre spesso per le missioni la scelta cade su individui giovani, mentre spesso è necessaria gente esperta che ha acquisito la capacità di dominare le emozioni. Se nel gruppo si capisce che quello è nervoso, che si infiamma facilmente, ne risentono anche gli altri e l’intera operazione.

Un altro punto da chiarire è l’impiego di donne in questi frangenti. Sarebbe opportuno aumentarne l’utilizzo proprio in prima linea, perché è molto più facile che un malintenzionato, che con la violenza pensa di riscattarsi, di fronte ad una donna s’inibisca.

Infine è importante sottolineare che la formazione agli eventi ad alto rischio deve essere continua e permanente e includere anche i funzionari di prima linea, cioè coloro che dovranno decidere al momento critico.